Passare davanti alla Fontana del Tritone e poi alla Fontana di Trevi diretti verso il concerto di Tim Hecker è un’esperienza quasi straniante. Questo almeno è quello che penso mentre schivo i cosini volanti lanciati dai venditori ambulanti e guardo ciò che resta di un livemapping sbilenco sulla facciata della fontana più famosa di Roma. Giro in fretta due angoli e sono davanti al Quirinetta: non c’è moltissima gente perché sono arrivato presto per non perdermi l’opening set, annunciato solo quattro giorni prima ma comunque di livello. È un’apertura di grande classe per la stagione autunnale del Quirinetta: oltre ad accaparrarsi Tim Hecker, genio canadese dell’elettronica ambient, sono riusciti ad organizzare un concerto-tributo ad un’altra delle vittime del 2016, Don Buchla.

Donald Buchla è stato uno dei pionieri della sintesi elettronica e ha creato alcuni tra i più singolari sintetizzatori in giro, ideando di fatto IL sintetizzatore (proprio come strumento musicale) nel 1963, poco tempo prima di Robert Moog. È morto il 14 settembre lasciandoci le sue invenzioni, utilizzate dagli avanguardisti elettronici di tutto il mondo. L’idea di un tributo a Don Buchla prima di Tim Hecker è intelligente e puntuale, e troviamo Tau Ceti (lo pseudonimo sotto il quale si nasconde il guru dei sintetizzatori italiani, Enrico Cosimi) e Marco Ciccotti che suonano per mezz’ora i loro sistemi Buchla Easel, tra bassi rimbrottanti, droni e stridii analogici densi di armonici.

Se le vibrazioni del trip di Tau Ceti e Ciccotti erano un’esperienza trascinante, quando Tim Hecker ha iniziato a suonare dall’altra parte del palco ci siamo accorti che quello a cui abbiamo assistito era solo un percorso sintetico verso lo Spazioporto Hecker. I suoni dell’organo, della chitarra e del piano, effettati, distorti, plasmati come plastica sopra una fiamma, appaiono nel buio; l’impianto del Quirinetta vibra mentre le persone nelle prime file iniziano a sedersi a terra. Hecker sta suonando da minuti ma potrebbero essere passate ore, o forse è il contrario: ripropone per intero l’ultimo capolavoro Love Streams mentre alle sue spalle lampeggia il sistema orizzontale-minimale di luci ideato da MFO (Marcel Weber), che è l’ultimo appiglio al mondo fisico in un locale che si riempie di nebbia blu rossa e lavanda e si fa ipnotizzare dall’artista canadese. Una ritmica appare, ogni tanto, tra gli effetti saturi, il suono si espande e si ritrae all’interno del Quirinetta in pezzi come Violet Monumental II, aprendo e chiudendo anche lo spazio; ci rendiamo conto (in tanti, ne sono quasi certo) che questo concerto è una questione esperienziale ed è difficilmente raccontabile – scrivo, dopo 2800 caratteri.

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A fine concerto, dopo poco più di 40 minuti, tutto è intriso dei flussi d’amore di Hecker: faccio amicizia con persone di diverse etnie e religioni, persino di diverse webzine musicali (ciao Elisa!), con la consapevolezza di aver assistito insieme ad un evento sonoro pervasivo, cangiante, unico ed irripetibile – sempre che non abbiate tra i contatti la ragazza bionda vicino a me che stava filmando tutto in diretta, in verticale (…). Ma, purtroppo per i suoi amici su Facebook, la presenza fisica del suono di Hecker non è riproducibile, e mi dispiace tanto per chi non ha potuto assistere di persona a questo concerto.

La musica si abbassa di volume gradualmente fino a sparire e le luci si spengono, il canadese sta fermo un attimo dietro alle sue macchine, poi ci saluta con la mano e sparisce dietro il palco.