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Premessa doverosa: se qualcuno mi chiedesse una lista degli artisti più rappresentativi degli ultimi due-tre anni, Annie Clark guarderebbe tutti dall’alto in basso. Da crescente ma piccolo fenomeno indie, l’album e il tour con David Byrne e una nuova consapevolezza dei propri mezzi hanno trasformato St. Vincent in un vero e proprio specchio di tutto ciò che c’è di buono nella musica degli anni Dieci, non ultima una capacità innata di fare musica pop fuori dagli schemi, che trasforma anche brani apparentemente difficili in veri e propri classici per le nostre personalissime hit parade.

Il live che sto per raccontarvi si è svolto all’interno della rassegna Sexto’nplugged, giunta ormai alla decima edizione, ed è accompagnato in cartellone da nomi da brividi quali Belle And Sebastian, Anna Calvi, Einstürzende Neubaten e il fenomeno mondiale del folk da FM Passenger. Nonostante i nomi siano di primo livello, si nota subito che la rassegna cerca di mantenere un’aria rurale e accogliente come se si trattasse di una cosa per pochi intimi e non di un live per mille persone. Se la location è davvero splendida (Piazza Castello fa la sua figura), lo stesso non si può dire per la gestione della stessa: seduti? Ma davvero? Vabbé, dopotutto il nome stesso del festival contiene la parola unplugged, in effetti è normale che la situazione sia più posata rispetto a – nomi a caso – un Rock In Roma o anche solo un Radar Festival. Quello che non mi va proprio giù sono i posti a sedere, una distesa di sedie bianche da sagra di paese scomode come non mai, e in precario equilibrio sui ciottoli della piazza. Avrebbero potuto chiamarmi prima, mia nonna ne dovrebbe avere una decina in garage!

Prendo posto in seconda fila, sulla destra, e alle 22:15 inizia il live dei Margareth, quattro ragazzi veneziani dediti ad un post-rock non particolarmente esaltante, che nelle parti più melodiche mi ha ricordato i Death Cab For Cutie più noiosi. Il pubblico comunque apprezza, mentre io pregusto i riff sghembi e le grandi canzoni che andrò ad ascoltare tra poco. Ho visto St. Vincent live già due altre volte: a Padova durante il tour di Love This Giant con David Byrne e al Primavera Sound 2014, e come in quest’ultima occasione, ecco che il live si apre alle 22:15 con una voce robotica che ci consiglia di tenere telefoni e macchine fotografiche in tasca, per poter godere al meglio dello show.

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E che show! Si parte con Marrow, e il leitmotiv della serata è quello classico dei live di Annie Clark e soci: una coreografia scarna, tutti sempre al proprio posto, mentre Annie e la tastierista-chitarrista Toko Yasuda si danno a balletti improbabili che le fanno davvero assomigliare a degli automi. Si capisce da subito che lo stare seduti sarà difficile, dato che vorremmo tutti muoverci già con Marrow e la successiva Birth In Reverse, ma appena qualcuno prova ad alzarsi in piedi viene bloccato dalla security, che gli intima di tornare al proprio posto. Serve davvero parecchio autocontrollo per non saltare sulle note di Regret o Digital Witness, ma ci consoliamo cantando a squarciagola Cruel e Year Of The Tiger, dopo che Annie scambia qualche pensiero con noi sull’Italia e la Divina Commedia. Su Severed Crossed Fingers, Cheerleader e Prince Johnny Annie sale sul piedistallo al centro del palco mentre tutti noi la guardiamo ipnotizzati: sembra davvero un’aliena (soprattutto quando suona la chitarra), e vederla cantare là in alto, così lontana da noi seduti in basso, dà a quel momento dello show un aspetto decisamente artistico, come se stessimo assistendo ad un’installazione di arte contemporanea. Annie torna tra noi per Actor Out Of Work e soprattutto per due chicche come Laughing With A Mouth Of Blood (da Actor) e per l’inedita Teenage Talk. Dopo Every Tear Disappears arriva il culmine di uno show già perfetto fino a quel momento, ovvero Bring Me Your Loves: una cascata di distorsioni, synth, riff malati e ritmiche schizoidi, una traccia che a mio parere rimarrà a lungo insuperata nella discografia di St. Vincent. Huey Newton chiude la parte principale dello show, ed è a quel punto che tutti quanti prendiamo coraggio e mandiamo a quel paese la security, prendendo posto sottopalco.

A questo punto l’acustica, fino a quel momento eccellente, diventa pessima. Le casse sono sopra le nostre teste e puntano alle nostre spalle, e i fortunelli delle prime tre file dovranno fare un bello sforzo di immaginazione per capire come suonano veramente gli ultimi due brani; brani che racchiudono tutta l’essenza di quello che è Annie Clark, di quello che è il progetto St. Vincent. Prima I Prefer Your Love, ballatona splendida, paragonata più volte a Nothing Compares 2 U, tanto per farvi capire il livello. Poi Your Lips Are Red, un muro noise di quasi dieci minuti con la folla adorante e Annie che lascia la chitarra a terra, alla mercé del pubblico, accasciandosi a terra stremata. Arriva un’altra sei-corde, tempo di finire la canzone e St. Vincent scende dal palco suonando, circumnaviga il pubblico che la acclama e scompare, leggera come è arrivata. Tra l’ingresso e l’uscita di scena c’è stata un’ora e un quarto di musica praticamente perfetta, ineccepibile nella sua esecuzione ed emozionante per l’anima che Annie Clark ha messo in ogni singolo brano, affrontato e gestito come una vera e propria opera d’arte musicale. Dopo ieri sera, se qualcuno mi chiedesse davvero chi è secondo me l’artista più rappresentativo degli ultimi anni, non avrei davvero più dubbi su che risposta dare.