Is St. Vincent our only real current female rock star?

Se lo chiedeva Variety qualche mese fa e ce lo chiediamo anche noi alla fine dell’unica data italiana dell’ “I Am A Lot Like You Tour” di Annie Clark, al Magnolia di Milano.

Uno striminzito vestitino in latex arancio fluo – un po’ Bowie un po’ Sailor Moon – St. Vincent arriva sul palco accompagnata, oltre che dalle numerosissime coloratissime chitarre Ernie Ball, dalla fedele Toko Yasuda (basso, tastiere, vocals) e da due loschi figuri con il volto coperto – una via di mezzo tra Sia e le Pussy Riot – alle tastiere e alla batteria. La disposizione sul palco ricorda quella adottata dai Kraftwerk: i quattro se ne stanno schierati sull’attenti ciascuno nella propria postazione, i movimenti sono freddi e macchinosi e l’interazione con il pubblico è ridotta al minimo.

Rispetto al precedente Fear The Future Tour, questa volta St. Vincent opta per una birth in reverse, che ironicamente non trova spazio nella scaletta: si parte infatti dagli ultimi successi (Sugarboy, Los Ageless, Masseduction, Savior), che live trovano una resa più coinvolgente che su disco, per poi tornare alle canzoni degli esordi (Hysterical Strength, Cruel, Cheerleader, Digital Witness) e concludere con un encore acustico che riporta alla purezza che ha contraddistinto la Annie di Marry Me, in cui per la prima volta anche lei sembra ai nostri occhi umana e un tantino vulnerabile (la devastante Happy Birthday, Johnny arriva dritta al cuore).

Femminismo, sessualità, lotta contro il potere (Masseduction diventa quasi un inno, suonata con il pugno alzato), gender fluidity, relazioni fallimentari: Annie Clark mette in scena tutto questo in uno show paradossale, a metà tra passione e finzione, distacco e partecipazione, ironia e provocazione. “Accomplished, self-conscious, precise, unblinking, completely in control and exactly as revealing as she wants to be“: così l’ha definita il New York Times e, a giudicare dai novanta minuti del concerto di Milano, mai descrizione fu più calzante.

Parliamoci chiaro: St. Vincent è la Tilda Swinton della musica: non appartiene del tutto al nostro mondo, e a Milano ce ne ha dato l’ennesima conferma.

Foto di Andrea Pelizzardi