(Foto via Indipendente Concerti, credits: ROB LOUD).

È come quando si accende la televisione. I Killers entrano così nel palco, illuminati, abbagliati, con Brandon Flowers che va oltre alla concezione canonica del frontman. Non è un caso che siano la band di Las Vegas, il paese dell’industria del gioco, delle luci, dell’immagine, dell’intrattenimento. Rock in Roma si apre così, con un concerto che assume i connotati di uno spettacolo televisivo, uno di quelli preparati per ottenere il massimo degli ascolti, per il quale il canale ammiraglio dell’emittente investe gran parte delle sue risorse.

I Killers sono al quinto album. Wonderful Wonderful, che è l’ultimo, ha avuto una lunga gestazione, è stato pubblicato a cinque anni di distanza dal precedente Battle Born, e non hanno nascosto, i membri del gruppo, che per una realtà come la loro, giunta a quindici anni di attività, risulta per niente facile riuscire a reinventarsi pur sapendo di dover comunque mantenersi lungo certe lunghezze d’onda che sono il marchio di fabbrica. E allora, per quanto riguarda l’esecuzione live, i Killers hanno saputo, e come, far valere questa doppia tendenza.

I just saw the face of God. His name is Brandon Flowers.#thekillers #rockinroma

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Lo show che i Killers stanno portando in tutto il mondo rispecchia una sceneggiatura ben precisa, la quale riprende la metafora che abbiamo usato in apertura: quella della televisione. Il concerto che i Killers hanno offerto al pubblico di Roma sembra infatti un programma del piccolo schermo, in cui c’è un anchorman, sul quale le luci sono puntate, che amministra la serata destreggiandosi tra tutte le articolazioni emotive e spettacolari che sono in scaletta. Questo personaggio è ovviamente Brandon Flowers, che non è solo il frontman della band, ma è appunto il presentatore, l’organizzatore, il medium tra il pubblico e i Killers. Con Flowers sul palco, si avverte che c’è al centro della scena un mostro da palcoscenico, che si stacca dalla vita reale già perché ha un costume di scena (prima nero, poi oro), ma poi anche perché non solo è illuminato dalle luci, ma brilla proprio lui stesso del suo carisma! Non è un caso che è la componente luminosa quella che più di tutte si nota a un live dei Killers, dato che, non a caso, provengono dalla città più luminosa del mondo.

Come ogni programma televisivo d’intrattenimento, dal momento dell’inizio dello show alla fine, si alternano tanti passaggi diversi, incastrati tra loro pure se hanno significati diversi. La discografia dei Killers si presta bene per questo schema, e la scaletta si è delineata proprio così, tra momenti di grande energia, tenerezza ed emozioni pure. Soprattutto, il bello dei Killers (tratto che è stato al centro di questo concerto) è la tensione tra esiti “muscolosi” e fragilità da teenager, che in sostanza sono i due estremi anche cronologici costituiti da Hot Fuss (2004) e Wonderful Wonderful (2017). Così, con l’energia di un pugile, Brandon Flowers & co. hanno mostrato i muscoli con The Calling, The Man, Run For Cover, ma al tempo stesso sono andati dritti al petto con esecuzioni memorabili di Smile Like You Mean It, A Dustland Fairytale, The Way It Was, When You Were Young.

Ma poi è inutile girarci intorno, come detto questo è un programma campione d’ascolti, e per mantenere in vetta i numeri, bisogna dare alla folla quel che maggiormente aspetta. E infatti ecco, che senza alcun tipo di spocchia, genuinamente, i Killers propongono i loro singoli più famosi, sempre con la medesima energia. L’apoteosi iniziale di Somebody Told Me, lo spettacolo visivo di Human, e poi la chiusura, il momento finale che non presenta alcuna novità, proprio perché così vuole il pubblico e evidentemente così sono d’accordo i Killers: introdotto da un breve discorso di Brandon, parte il riff, giusto un pizzico accelerato rispetto a quello che si ascolta da 15 anni, è il momento di Mr. Brightside, sipario che cala, o meglio il telecomando che spegne la televisione. Ma con una differenza. I Killers sono veri, stavano lì davanti a te, non c’era uno schermo; tu sei sudato e sporco e anche senza voce. Era tutto reale. La pioggia iniziale, Il palco incredibile, i coriandoli e i filamenti (con i colori dell’Italia!) che due volte sono stati esplosi verso il pubblico; le bacchette tirate da “belli capelli” Ronny Vannucci, lo splendido ausilio delle coriste. Soprattutto, era bella la stella luminosa che con microfono alla mano saltava da una parte all’altra del palco, rendendo impossibile staccargli gli occhi di dosso.

Insomma, te ne vai così dall’Ippodromo delle Capannelle, certo di aver partecipato ad uno spettacolo grandioso, non di plastica, ma – seppur illuminatissimo – vero, verissimo. Te ne rendi conto se non altro perché hai ancora in faccia stampato un sorriso da ebete, mentre sei in fila per uscire: sorriso dei tanti ricordi che un concerto del genere può sollevare, e sorriso di rassegnazione perché, a seconda dei tuoi desideri, a) non potrai mai essere Brandon Flowers e b) non potrai mai avere Brandon Flowers.

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