Fa strano tornare su queste pagine a parlare di Sexto ‘Nplugged, anche perché ogni anno il refrain sembra essere lo stesso: location splendida, scelta dei gruppi azzeccata, contesto intimo, in poche parole una vera perla nascosta nel gruppone dei festival e delle rassegne musicali italiane. E anche quest’anno è stato così, anzi, forse pure meglio.

Fa strano perché la sola idea di un festival di questo tipo in Friuli Venezia Giulia continua a far ridere, conoscendo soprattutto il rapporto che il territorio e i suoi abitanti hanno con la dimensione “concerto”, o comunque con qualsiasi cosa che si distanzi appena appena dalla sagra di paese con band di liscio e decine di coppie di vecchietti danzati. Quel tipo di “strano”.

Fa strano perché, tra realtà che nascono e muoiono di continuo, e in una Provincia in cui fare musica dal vivo negli ultimi tempi è diventato difficilissimo, Sexto ‘Nplugged ha rilanciato con le sue 4 serate: qualità musicale altissima, 3 nomi in cartellone parecchio ricercati (Pantha Du Prince, Son Lux e Rhye: di questi solo gli ultimi 2 si sono esibiti, PDP è saltato causa maltempo, purtroppo) e 2 discrete bombe atomiche a queste latitudini: Interpol e, soprattutto, Mogwai. I re del post-punk revival e i re del post-rock, a pochi giorni di distanza, nella piazza di un paese che conta poco più di 6000 abitanti. Lo sentite il coraggio? Lo sentite ancora di più quando scioriniamo qualche nome delle passate edizioni, come Air, St. Vincent, The War On Drugs, Belle And Sebastian, Daughter, Local Natives?

INTERPOL

Il primo nome in arrivo, calendario alla mano, sono gli Interpol. Unica data italiana, pochi giorni dopo avere annunciato in Messico il nuovo album Marauder, e classico compito fatto davvero bene per Paul Banks e soci. Parte l’attacco di Not Even Jail, da Antics, e il mood è subito quello giusto: ottima occasione per passare in rassegna velocemente la discografia della band con All The Rage Back Home, C’mere e The New, infilandoci pure la nuova The Rover, alla sua terza uscita ufficiale. Il pubblico urla PDA, urla Stella, urla NYC, ma il tour per i 15 anni di Turn On The Bright Lights è già passato da un anno: meglio rivangare altri vecchi classici e presentare nuovo materiale, come NYSMAW (o se preferite Now You See Me At Work, sempre da Marauder). Chiusura da applausi con Pioneer To The Falls e la sempiterna Obstacle 1, prima di mandare a casa tutti con un tempismo perfetto. Non sempre perfetti nell’esecuzione – soprattutto nella voce, eh Mr. Banks? – ma comunque divertiti e gasati dal contesto, addirittura pronti a scherzare con il pubblico (!) tra un brano e l’altro.

MOGWAI

Di ben altra caratura, almeno a livello di impatto emotivo, è stato il live dei Mogwai. La band scozzese non sbaglia probabilmente un concerto dal 1992, e anche stavolta Stuart Braithwaite e i compagni di merende salgono sul palco e fanno quello che sanno fare meglio: innalzare cattedrali di suono, arpeggi, feedback, raggiungendo livelli di volume forse mai toccati in un festival che ha la parola “unplugged” nel nome. Citare un momento particolare è quasi impossibile, ma come dimenticarsi della spettacolare, conclusiva, My Father My King? Un crescendo così vertiginoso che il silenzio a fine brano era assordante da quanto eravamo tutti rapiti e immobili davanti a quello che si stava scatenando sul palco. Semplicemente uno dei migliori concerti di sempre di Sexto ‘Nplugged. Game, set, match.

SON LUX e RHYE

Le ultime due giornate le mettiamo insieme, non fosse che il mio primo approccio con Son Lux è arrivato proprio con il concerto di Sesto, quindi potremmo definirlo la mia personale scoperta. Concluso cantando tutti assieme sotto la pioggia (che poi sarebbe diventata un temporale tale da costringere Pantha Du Prince a cancellare lo show), è stata un’ora di pop elettronico dominato dalla voce di Ryan Lott, ma soprattutto di una base strumentale (chitarrista e batterista mostruosi) di livello alieno. L’atmosfera venutasi a creare, con il pubblico che ha abbandonato le proprie sedie per accompagnare la band sottopalco, mi emoziona ogni volta, è roba rara da queste parti.

Diverso il discorso con Rhye. Live aperto da un’esibizione solista di Pick A Piper, ovvero il progetto solista di Brad Weber, batterista di Caribou. Live divertente, a volte monocorde, ma comunque una bella botta di energia prima del saliscendi emotivo di Rhye. Prima cosa da dire su Mike Milosh e la sua band: sono tanti, sono bravi e riescono a tenere in piedi magnificamente brani bellissimi ma fragili come quelli di Woman e Blood. Highlight della serata: Taste. Piantone della serata: The Fall, e non solo per il brano, ma per averlo tagliato proprio sulla coda finale, maledetto Mike Milosh, te possino.

Preservare, sostenere, partecipare e diffondere il più possibile eventi borderline e preziosi come Sexto ‘Nplugged (che se avesse il mare sarebbe un Ypsigrock in miniatura) non è uno sfizio, ma un dovere morale. Sono tante le realtà che, anno dopo anno, riescono a confermarsi con sempre più difficoltà: Sexto ogni anno supera l’ostacolo con una facilità disarmante, portando sotto l’abbazia di Piazza Castello nomi che gli appassionati di musica alternativa da queste parti non potrebbero vedere altrimenti. L’obiettivo è raccontare delle meraviglie di questo piccolo-grande mondo anche il prossimo anno, con sempre lo stesso augurio: in una location del genere, con un’atmosfera del genere, ci starebbero proprio bene nomi ancora più speciali. Pensate soltanto a cosa potrebbero fare i National in questo contesto… Il coraggio, dopotutto, non gli manca.