Siamo reduci dalla diciannovesima edizione del Primavera Sound, che eravamo certi non ci avrebbe deluso, ma non al punto da definirla come la migliore di sempre (almeno da quando siamo presenti).

Quella che abbiamo percepito è stata una vera e propria rivelazione sotto forma, in primo luogo, del nuovo concept simbolicamente soprannominato The New Normal, espressione polisemica, qui intesa come regola, che inizialmente abbiamo osservato spaesati come si osservano oggetti d’arte moderna e che, poi, abbiamo visto prendere forma durante i 3 giorni di festival fino, appunto, alla rivelazione finale.

Mai come nell’epoca attuale la semantica è rivelatrice, e quello che si è voluto veicolare è un messaggio innovativo non meramente simbolico che si è rivelato vincente. Del resto, la società contemporanea è un cimitero di belle parole, tanto assertive quanto arrendevoli di fronte alla realtà delle cose. Ma in questo neologismo abbiamo trovato la risposta ad un modello radicalmente distinto rispetto a quello tradizionale. In dichiarata rottura con le declinazioni tipiche della stragrande maggioranza degli altri festival, il Primavera Sound ha, infatti, risposto ad un nuovo paradigma che si caratterizza per l’utilizzo della normalità come nuovo canone guida, indirizzata alla piena soddisfazione di nuovi interessi sociali (primo su tutti quello della parità di genere) e non solo alla promozione di stili musicali emergenti. In questa prospettiva, dunque, tale modello rappresenta l’esito di mutazioni progressive che si sono stratificate e duplicate esponenzialmente nel sottobosco culturale urbano con un’accelerazione rapidissima, che il management catalano ha saputo cogliere ben prima dei propri competitors. Attingendo a piene mani dalle esigenze sociali e dalle evoluzioni musicali attuali, anche sulla scia di diffuse campagne etiche volte alla tutela di diritti e garanzie individuali e collettive, all’eliminazione di interlocutori privilegiati e di medievali stereotipi di genere, quello che è nato come uno slogan ha superato la prova col massimo dei voti. Anche per la parte relativa alla musica urbana attraverso la quale anche il ceto meno abbiente ha trovato una voce in questo enorme coro.

Eguaglianza, parità di genere, multiculturalismo e rispetto, sono solo alcune delle declinazioni del concetto di “nuova normalità” che, con parole nuove ha sostituito il vecchio Primavera degli headliner con il Primavera delle persone.

Ma il Primavera si è orientato anche alla sostenibilità. L’idea dei bicchieri da collezione (al costo di 1 euro) con stampate le line up di tutte le 19 edizioni da poter utilizzare ad ogni bevuta senza sovrapprezzo ha comportato benefici per tutti: il Primavera ha incassato, i clienti si sono portati a casa il souvenir e nel Parc del Forum non si è vista praticamente l’ombra di un bicchiere per terra. I più fortunati hanno trovato quello del 2020 che annunciava in anteprima ed in esclusiva i Pavement per le celebrazioni del ventennale del festival. E quelli ancora più fortunati si sono imbattuti in improvvisati abbonati/netturbini che vagavano alla ricerca del bicchiere mancante per fare l’en plein e portarsi a casa l’abono gratis per l’anno prossimo.

Passiamo alla musica che, va da sé, ha svolto un ruolo centrale. La stessa musica che solo 6 mesi fa è stata oggetto delle critiche più o meno sensate e feroci da parte della frangia più conservatrice o da chi è rimasto ancorato a schemi anacronistici, concettualmente chiusi e legati ad un’idea di festival non più in linea con i tempi. Non dimentichiamo, infatti, i delusi che hanno rivenduto l’abbonamento e che, non solo sono rimasti sul divano, ma oggi ricevono la beffa finale perché tutti quelli che si sono fidati della direzione artistica si sono divertiti, mentre loro sono rimasti fermi ad osservare il mondo andare avanti. Non dimentichiamo le reactions al lancio del teaser di Vampire Studio con cupcakKe a musicare un filmato underground ed ultra sponsorizzato pieno di tante belle parole e tanti pochi big. In questo senso, la rivelazione di cui sopra, ha preso il nome di rivoluzione.

Dal punto di vista musicale è stato senza dubbio il festival delle donne, che hanno gridato con forza i loro diritti (finalmente) acquisiti, manifestando con performance epocali la loro presenza sul palco. Apparire paraculo è un attimo, ma le esibizioni di Janelle Monae e della madrina Rosalia hanno lasciato in parecchi con la mandibola per terra. Sorpresi per qualcosa che non immaginavano e sorpresi da se stessi, perché hanno trovato interessanti generi ed artisti che non conoscevano, a dimostrazione del fatto che quando si è mentalmente predisposti, si trova qualcosa di buono ovunque. E poi Solange, che ha messo in piedi un vero e proprio spettacolo insieme ad un corpo di ballo da prima fascia e che ha confermato che la scelta di indicarla come primo vero headliner nel giorno dell’annuncio della line up non era casuale. I suoi dieci minuti finali di spoken si inseriscono, senza possibilità di smentita, tra i momenti chiave non solo di questa edizione, ma di tutta la storia del festival.

Menzione a parte la merita quella che, a nostro avviso, è stata la regina di tutto il festival: FKA Twigs che torna sul palco del Primavera dopo 5 anni ed a cui è stata riservata una standing ovation a fine show che al palco Ray Ban non si era mai vista. Con costumi avveniristici e ballerini in total Nike Lab ha messo in mostra quello che sul suo Instagram si intravedeva da due anni almeno, facendo presagire che in cantiere ci fosse qualcosa di stupefacente. Due anni di allenamenti di una intensità paragonabile a quelli di Uma Thurman in Kill Bill 2 che le hanno permesso di tirare fuori una coreografia da cinema. Movenze elastiche; un canto impeccabile; una pole dance da infarto ed uno spezzone con la katana con la quale ha tranciato in due il cielo, mentre bassi di potenza inaudita hanno letteralmente travolto la platea, messa lì a testa in su confusa, rapita, appagata.

Si sa, il Primavera è anche una questione di scelte e rimanendo nel comparto femminile abbiamo sostenuto il nucleo italiano con BirthhHÅN al Primavera Pro, abbiamo amato le capacità di Little Simz e di Lizzo di riempire con live alla taurina i palchi secondari e abbiamo pianto con le due stelle nascenti del Pitchfork070 Shake e Sigrid. La prima ha mostrato una cazzimma non indifferente, la seconda ha vinto, invece, il premio commozione: un talento purissimo nel canto, nel ballo e nella capacità di tenere il palco come una veterana. Ha letteralmente fatto scendere una lacrima sul viso di molti con il suo pop, un po’ CHVRCHES, un po’ da oratorio, ma sicuramente spontaneo. Segnatevi il suo nome perché diventerà una delle più complete popstar delle nuove generazioni. Faccina perplessa, invece, per Snail Mail che ha raccontato già alcune note difficoltà sul palco, ma anche che le sue chitarre sono tutt’altro che banali e per Soccer Mommy abbastanza soporifera. In mezzo, nel nuovo palco di OCB abbiamo scoperto le CHAI ed il loro j-punk-pop coloratissimo e abbiamo ritrovato una nostra vecchia scoperta, Alice Phoebe Lou che è indubbiamente pronta all’upgrade definitivo.

Un gradino sotto troviamo Tame Impala e Mac DeMarco che, entrambi, hanno proposto nell’orario centrale un set quasi perfetto e, per ciò solo, parecchio scolastico. Chi li aveva già visti non ne è uscito sconvolto, a differenza (probabilmente) di quanti li vedevano per la prima volta. E poi Boy Pablo, divertentissimo studentello all’Università di Mac DeMarco che ha saputo aprire l’ultima giornata nel palco più grande di tutto il Forum con lo-fi e balletti.

Energia e connessione sono altri due elementi chiave di questi tre giorni. Chieste a gran voce da parecchi artisti, che in più di un’occasione si sono lanciati sul pubblico a cercare un contatto che fosse il più umano possibile, hanno ricevuto il doppio di quanto chiesto. AJ Tracey, Loyle Carner, Slowthai (con un pausa vomitino) e soprattutto JPEGMAFIA si sono mischiati alla folla con un elettricità unica, mescolando dropponi in cinemascope a stage diving da scena hardcore-punk.

Premio per il live più visionario e surreale (nella città del surrealismo) va a OBJEKT, che alle 4 del mattino si è travestito da regista de L’alba dei morti viventi, riportando in vita mezzo Primavera, accorso in spiaggia al Lotus stage per vedere la versione live di uno degli album più interessanti del 2018. Uno spettacolo audiovisivo dove techno concettuale ed ambient si sono armonizzate nei visual caratteristici del suo concept antropomorfo.

220mila  i partecipanti di questa edizione del Primavera Sound. L’edizione più bella, lo abbiamo detto e continuiamo a ripetercelo nella testa anche ora che siamo tornati alla quotidianità. L’edizione che ha osservato il futuro prima di tutti. L’edizione dell’unione, della celebrazione della diversità e dell’iper-connessione tra artisti e pubblico. Azzardata all’inizio ed indimenticabile alle fine.

Fino a ieri New, da oggi solo Normal.