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Dopo la bellissima esperienza della scorsa edizione, siamo tornati per il secondo anno consecutivo in Norvegia all’Øyafestivalen, uno dei festival estivi più validi e, ahimè,  sconosciuti presenti in Europa. Per chi scrive è la prima volta che approda in questa terra magica, ed è già motivo di felicità. Oslo è una piccola gemma moderna a misura d’uomo, organizzata benissimo; offre una vita notturna molto appagante grazie ad una notevole quantità di club e di eventi variegati per tutto il corso dell’anno (di recente Oslo, infatti, è stata eletta come la città più culturalmente attiva di tutta la Scandinavia).
Anche in questa edizione l’ Øya Festivalen prende luogo nel Tøyenparken, un parco situato nel pieno centro di Oslo, proprio di fianco al Munch Museum, a pochi passi dai punti nevralgici della capitale, servita ottimamente dai mezzi di trasporto; insomma una situazione più unica che rara per un festival di un certo calibro, che anche quest’anno propone un programma ambizioso e completo con headliners di livello decisamente alto.
Con queste piccole premesse parte la nostra esperienza all’Øya, che si tramuterà in una delle settimane più entusiasmanti della nostra vita.

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GIORNO 1

Stesso copione, stessa efficacia. La prima giornata ha come un sapore di preview ed è dedicata quasi esclusivamente alla musica locale, ovvero a numerosi artisti norvegesi (e scandinavi) che si esibiscono in diverse aree e locali della città. Il tutto pompato da Music Norway, maggior sponsor del festival, che promuove il suo roster sia in questa situazione che durante il festival.

Scegliamo di dirigerci verso il porto al Sukkerbiten per ascoltare una vecchia conoscenza dell’indie di qualche anno fa che risponde al nome Mando Diao. Sì esatto, gli svedesi sono ancora in giro e a discapito dei 12 gradi e di un acquazzone incessante regalano una buona esibizione e dimostrano di avere ancora un discreto seguito. Peccato per il finale con la loro superhit Dance With Somebody decisamente scialba e sottotono ma i ragazzi probabilmente dovevano essere stremati: beccarsi più di un’ora di acqua e riuscire a concludere un live (all’aparto) in un clima simile è una bella impresa. Ce ne stiamo ben tranquilli durante il resto della serata perché da domani si comincia a fare sul serio.

GIORNO 2

Questa sera i due headliner che suoneranno contemporaneamente saranno Massive Attack+Young Fathers e ANOHNI. Due nomi interessantissimi tanto da balenarti l’idea in testa di correre da un palco all’altro, ma durante la mattinata arriva la notizia di forfait di Antony Hegarty per problemi legati alla voce. Viene scelto come sostituto Kaytranada, uno dei nomi più caldi del 2016, che comunque non basta a intaccare la nostra preferenza verso i maestri di Bristol.
La struttura della venue rimane pressoché inalterata. I due main stage sono l’Amfiet con le sue fantastiche collinette frontali ed il Vindfruen appena accanto su cui si alternano molte performance degli artisti più di spicco del programma. Poco più in la abbiamo il palco eclettico Hagen e quello coperto Sirkus dedicato perlopiù ai live act di stampo elettronico. Un’ altra area ancora ospita diversi stand tra street food, negozi di dischi e noleggi di stivali per la pioggia: troviamo anche lo spazio Biblioteket riservato a conferenze/Q&A e set acustici degli artisti e su un’altra piccola collinetta l’Hi-Fi Klubben dedicato a dyj ed affini.
Indovinate un po’? Il tutto è organizzato ovviamente in maniera meticolosamente perfetta.
La prima esibizione degna di nota della giornata riguarda i The Last Shadow Puppets. Un set onesto, un buon modo di iniziare il festival. I pezzi scorrono piacevolmente, la chitarra di Miles Kane un po’ sommersa nel mix ed Alex Turner decisamente su di giri e…

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Ok, giudicate voi. Chissà quanto devono essere comodi quei pantaloni.
Successivamente assistiamo ad una superstar locale che richiama migliaia di persone. AURORA è un bizzarro mix di elettronica e pop, una tenera ragazza bionda che sul palco sfoggia una voce fuori dal comune accompagnate da movenze semi-epilettiche, acclamatissima dal pubblico norvegese come se fosse il vero headliner della serata.

Ci spostiamo quindi al Sirkus ad assistere agli M83. I pareri discordanti sulle loro esibizioni live vengono spazzati via in men che non si dica: Anthony Gonzales & co. sono in formissima, divertono e fanno ballare: la prima parte di set si tramuta in una vera e propria festa dove è impossibile stare fermi. I ritmi si placano leggermente sul finale e quando arriva Midnight City il Sirkus è gioia vera. Sono la prima vera sorpresa dell’Øya e non sono ancora arrivate le 21:00 del primo giorno.

M83

Lì accanto al Sirkus una marea di persone (molto giovani, ndr.) ha appena accolto Skepta, incredulo con la sua crew della folla presente li per loro. Un live incendiario non mente sul gigantesco hype cresciuto su di lui negli ultimi mesi: sicuramente da tenere sempre più d’occhio.

Skepta

Ci dirigiamo nuovamente al main stage ed aspettiamo i veri headliner della serata. Durante le date italiane i Massive Attack sono stati criticati per le esibizioni live non impeccabili e troppo politicizzate, ma noi continuiamo a riporre una fiducia sconsiderata sui pionieri Trip-Hop di Bristol.
Ed è così che 3D e Daddy G ci regalano un concerto a dir poco devastante ed intenso.

Dall’apertura serrata di United Snakes, passando attraverso viaggi mistici con Horace Andy in Angel e Hymn of The Big Wheel e a classici come la conclusiva Unfinished Symphathy, rimaniamo tutti ipnotizzati. Come è possibile criticare una tale potenza che rasenta la perfezione? Come se non bastasse nella parte centrale del live sbucano quei 3 ragazzacci degli Young Fathers che ribaltano ulteriormente la situazione: la combo che si crea ce la immaginavamo già notevole, ma la realtà è ancora più sconvolgente. Torniamo a casa convinti di aver visto uno degli show migliori della nostra vita.
Ed è solo il primo giorno.

GIORNO 3

La nostra terza giornata all’Øya viene graziata da una splendida giornata di sole, che rende questo luogo ancora più una favola. La prima esibizione interessante risponde al nome di Julia Holter, reduce dal buon successo di Have You In My Wilderness. Che sia un’ottima performer non ci sono dubbi, ma il set non decolla per niente: genera un mood particolarmente pesante che persino il batterista sembra sentire il peso del mondo sulle sue spalle.

La tonalità con cui dice al microfono “Thank You Oslo, is nice to be back here.” sembra incitarti a comprare una bella corda resistente ideale per un cappio, quindi decidiamo di mantenere alto il nostro umore e ci spostiamo verso il Sirkus per il live di Floating Points.
Sam Shepherd rappresenta la seconda vera sorpresa dell’Øya per noi. Elettronica e jazz (e tanto altro, credetemi) si fondono alla perfezione: basta solo l’apertura con Silhouettes a farci rimanere a bocca aperta, impeccabili e psichedelici. Un talento da tenere bene d’occhio.

Floating Points

Successivamente è il turno dei Mastodon. I quattro di Atlanta vengono penalizzato da un’uscita pessima del suono (finora impeccabile) e sembra inoltre che siano molto di fretta, che non si stiano godendo a pieno la situazione: resta il fatto che suonino parecchio bene, regalano alcuni vecchi classici come Megalodon e l’immancabile Blood & Thunder, ed il pubblico norvegese apprezza. Speriamo che un giorno imparino a cantare tutti bene come il loro batterista Brann Dailor.

Ci spostiamo poi all’Hi-Fi Klubben per Arca. Il suo djset/live/boh è totalmente fuori di testa: cambi sconclusionati, passaggi da reggaeton a industrial, da hip hop alla acid, il tutto condito con il suo sbraitare molesto. Tanti in visibilio, e molti altri sconcertati… e noi che nel frattempo pensiamo “ma mi sono perso Dj Koze per questa roba qui?!“. Grazie a Dio il finale è qualcosa di più decente, che salva in extremis il buon Alejandro.

Arca

E’ il momento degli headliner, e qui si ripropone la divisione generazionale dell’anno scorso che ci fu per Ride vs. Tyler The Creator.
Gli over 30 si accomoderanno per la maggiore al live di PJ Harvey, viceversa gli under 30 affluiranno al djset di Jamie XX (con tutte le eccezioni del caso, naturalmente).
Ascoltiamo una parte dell’esibizione di PJ, molto sontuosa ma allo stesso tempo gelida e fin troppo perfezionistica, per poi spostarci al Sirkus per Jamie xx.
Ricalca pressapoco il suo classico set che porta in giro da molti mesi con i suoi vinili, alternando pezzi funk e soul con house/garage prettamente UK: non mancano all’appello i suoi pezzi da 90 come Gosh, acclamatissima dal pubblico.

Jamie XX

Jamie XX da l’impressione di mostrarci quali siano le sue fonti d’ispirazione durante il suo set (difatti sentiamo diversi brani da cui ha campionato sample per la registrazione di In Colour). Tecnicamente non è un DJ ineccepibile, ma riesce a coinvolgere la folla e a creare un’atmosfera felice, un obiettivo non da poco. Chiude con Dream Baby Dream, tributo da pelle d’oco al compianto Alan Vega dei Suicide.

GIORNO 4

Oggi l’Øya sa un po’ più di Inghilterra: non per le dimensioni esagerate, ma per la pioggia che ci farà compagnia tutto il giorno ed il fango che mieterà numerose vittime. Nonostante ciò il funzionamento del festival rimane squisitamente invariato. Arriva anche il forfait di Travis Scott, che viene però rimpiazzato al volo da NAO, una delle nuove speranze della nu-soul/funk (come lo chiama lei wonky funk) direttamente da East London. Il suo live è coinvolgente, energico ed il pubblico ricambia numerosissimo fregandosene della pioggia battente. Auguro tutto il meglio per questa nuova promessa che ci ha fatto innamorare dei suoi pezzi istantaneamente.

Sul Vindfruen poco più tardi si esibiscono i Daughter che non deludono le aspettative: un’ora di pura e delicata magia in cui c’è poco da aggiungere. Elena Tonra pare particolarmente ispirata ed in forma, come l’intera band d’altro canto, ed il pubblico norvegese ascolta di gusto con dolce riverenza. In tanti cercano di imitarli, ma nessuno si avvicina lontanamente alla loro bravura.

Daughter

Segue Thundercat con il suo trio: è musica di alto livello suonata ad ancor più alto livello, in cui il talento dei singoli componenti è illegale. Nonostante la complessità delle composizioni anche questo live sorprende per coinvolgimento ed intrattenimento: Stephen Bruner è uno dei bassisti più rinomati a livello mondiale e tiene benissimo il palco con il suo carisma e la sua simpatia.

Le due esibizioni successive ci terranno occupati all’interno del Sirkus. Tocca ai CHVRCHES capitanati dalla bella Lauren a cominciare a scaldare la serata. Anche loro si dimostrano performer cresciuti in esperienza ed impeccabili ed il loro set non manca di emozionare i presenti. Forse serve un po’ più di cuore, ma qui a parlare sono i gusti prettamente personali.

CHVRCHES

Anche questa giornata si sta rivelando mano a mano fantastica: abbiamo la possibiltà di passare da un genere all’altro con una facilità disarmante e la qualità non tende minimamente a scendere, questo posto è il paradiso.

E’ il momento di una nuova sfida generazionale ed allo stesso tempo territoriale. Sull’Amfien va in scena la sensazione indie-pop norvegese del momento, gli Highasakite, ma noi ci fermiamo al Sirkus per gustarci i New Order (una scelta molto azzardata, a parer nostro, mettere in contemporanea questi due live).
Descritti come oramai spenti e stantii nelle esibizioni degli ultimi anni, stasera fanno ricredere tutti i possibili scettici presenti, compresi noi. Il loro show è strabordante di emozioni,tant’è che in tutta la durata del set si balla, si salta e si respira una gioia inaspettata.
Che questa magia sia anche merito dell’Øya? Perchè fino a qui, quasi tutte le band e gli artisti visti fino ad ora ci sono sembrati completamente a loro agio e desiderose di regalare qualcosa di più della solita esibizione al pubblico. Inoltre il palco Sirkus gode di un’acustica definitissima e fantastica, ed il trio finale Blue Monday/Temptation/Love Will Tear Us Apart è da lacrime a non finire.

New Order

La scritta finale sul maxischermo “FOREVER JOY DIVISION” potrebbe dare l’idea di paraculata pazzesca, invece suggella la conclusione dell’ennesima piacevole sorpresa di questi giorni.
Al termine del concerto ci dirigiamo verso un bel club (fighetto quanto basta) vicino al porto, il Gamle Museet. Prima ci godiamo il djset con retrogusto 2013 di Giraffage, nell’attesa del live di AlunaGeorge. I primi 10 minuti della band ci sono piaciuti così tanto che magicamente ci siamo trovati fuori dal locale a cercare altro da fare. Pessimi.

GIORNO 5

L’ultimo giorno torna il sole (le scivolate sul fango restano) e la blackitude prende il sopravvento. Prima di entrare più nel merito di questo concetto, parliamo dei grandi incompresi di questa ultima giornata. I Foals si esibiscono sul main stage e dimostrano quanto sono migliorati nella dimensione live, di avere pezzi fantastici, di mettercela tutta, ma no… al pubblico norvegese non interessano molto, quasi per niente. Più che disinteressati, sembrano proprio non coinvolti. Yannis ce la mette tutta, scende a cantare davanti alle transenne e sopra il pubblico, si cimenta con il crowd surfing (vietatissimo in Norvegia), ma la risposta è comunque tiepida. Se non altro rende felice qualche piccolo gruppo di fan che le canta tutte.

Foals
Ma oggi è la giornata in cui la blackitude prende il sopravvento, innescata da una doppietta da capogiro: alle 16 Kamasi Washington, ancora alle prese con il lungo tour del gigantesco The Epic, decide che oggi si fa un ripasso di musica black.

Kamasi Washington

Non è solo Jazz: è groove, soul, trip sconsiderato, classe pura, roba viscerale da godersi ad occhi chiusi. E’ una marea di sensazioni difficili da descrivere dettagliatamente, forse è la formazione migliore ascoltata in questi giorni… poi arriva Anderson .Paak.
Nessuno può credere ad occhi e orecchie. Brandon è l’istrione, il performer perfetto, l’intrattenitore che non ti aspetti. Chiama le donne in prima fila, scherza sulla ex-ragazza del proprio chitarrista, canta e suona la batteria in maniera divina. Ma da dove sei uscito? E chi è questa band mostruosa che ti porti dietro?

Anderson .Paak

I brani della sua ultima fatica Malibu dal vivo sono 1000 volte più belli ed il pubblico norvegese da completamente fuori di testa per lui. Intanto nel backstage sono ben visibili Kamasi&co e Thundercat che ballano e si godono lo show: quest’ultimo viene chiamato poi sul palco per eseguire un pezzo. Sì, siamo veramente in paradiso. E non è ancora finita!
Ringraziamo gentilmente le HAIM per non essersi presentate ed aver lasciato spazio ad una headliner di tutt’altro livello: Grace Jones.
La leggenda è in formissima e non sbaglia un colpo. E’ ancora cosi inarrivabile che ogni paragone possibile diventa inutile. Lei è la regina di questo tipo di performance caratterizzate da cambi d’abito continui e di una interazione speciale con il pubblico. Rimaniamo tutti ammaliati dalla panterona giamaicana tra la sua bellezza, le allusioni sessuali, ed una voce che proprio non vuole invecchiare.

Grace Jones

Si parla di una donna di 68 anni che sembra aver fermato il tempo ai successi di Nightclubbing. Grace non vuole lasciare il palco, continua ad inneggiare cori da dietro le quinte dopo la superba chiusura su Slave To The Rhythm, ma i severi orari di Oslo impongono a malincuore la chiusura. C’è stato tanto amore tra Grace ed il suo pubblico questa notte, e siamo stati fortunati ad assistere ad uno show che non dimenticheremo molto facilmente.
Concludiamo la serata al club superposh Stratos, in cima ad un grattacielo in pieno centro città, con il djset di TCTS che propone ottima house/deephouse.

Volge cosi al termine questa edizione dell’Øya Festivalen, che perfeziona la sua formula vincente proponendo una varietà di artisti invidiabili in una location splendidamente a misura d’uomo. Da riconoscere anche quest’anno l’ottimo lavoro che anche in questa occasione ha svolto Music Norway nel promuovere i propri artisti locali.

Vi lasciamo con una galleria piena di foto di esibizione e del festival in generale, scattate tutte da Andrea Pelizzardi