Napoli, rotonda Diaz, 9 maggio 2018. È il giorno di LIBERATO, è il giorno del primo concerto nella sua città.

L’area delimitata dalla transenne può contenere 6.000 persone, ne sono attese 10.000, se ne presentano più di 20.000. La spiaggia alle spalle del palco è presidiata dalle forze dell’ordine come il resto della zona e il mare, sorvegliato da una motovedetta della Polizia.

Il dj-set dei Nu Guinea, napoletani residenti a Berlino, prende il via poco dopo le 19.00. Disco, funk, soul, afro, jazz-rock, blues si fondono in un futuristico post-funk in salsa partenopea che trae ispirazione dallo storico gruppo Napoli Centrale.

I due guagliuni scaldano la folla in trepidante attesa, e lo fanno con classe. LIBERATO e i 6 sosia, come vi avevamo anticipato, arrivano dal mare a bordo di un gommone verso le 20.40, e a bordo c’è anche Francesco Lettieri a documentare il tutto.

Poco prima che il concerto vero e proprio inizi sacro e profano si fondono: parte Life is life, brano del 1984 degli Opus legato indissolubilmente al Napoli di Maradona.

Subito dopo echeggia a voc’ e’ na sirena, e tre persone persone con felpa nera, cappuccio sulla testa e bandana a mo’ di ultras a coprire quasi interamente il volto salgono sul palco. Per qualche istante si bloccano, meravigliati dalle migliaia di presenti assiepati sul lungomare. Dopodiché uno dei tre dà il via allo show con un veracissimo “Uè ma comm’ cazz’ sit’ bell’!”. 

Le restanti 4 comparse trascorreranno tutto il tempo alle spalle del palco.

Il concerto prende il via con l’iconica NOVE MAGGIO, il primo singolo dell’artista napoletano pubblicato lo scorso 13 febbraio 2017. Poi INTOSTREET e JE TE VOGLIO BENE ASSAJE, brani rilasciati solo qualche giorno fa ma che tutti già conoscevamo a memoria. Un muro di smartphone si erge dinnanzi al palco rendendo ancora più virale il concerto indetto con un semplice post via social network.

Quanti sono in grado di ottenere lo stesso risultato con solo 6 brani all’attivo e con così poco preavviso?

Segnata la prima tripletta, il Lorenzo Insigne della musica italiana accenna la prima strofa di Quanno Chiove di Pino Daniele. I collegamenti fra i due artisti si sprecano.

LIBERATO, come Pino Daniele con il blues, ha affrancato il dialetto e la canzone napoletana dal monopolio dei neomelodici, sdoganando l’R&B partenopeo in una dimensione – perlomeno e al momento – europea.

Inoltre, sia Pino Daniele che LIBERATO alternano sovente e con estrema naturalezza napoletano e inglese.

Sulla coda si Quanno Chiove si innesta il beat di GAIOLA PORTAFORTUNA, e tra la folla c’è anche al protagonista del video. L’anonimato dell’artista non è garantito solo dalle comparse ma anche dallo spettacolare show di luci e fumo che ricorda il tour del disco di esordio dei DARKSIDE.

Poco dopo è la volta di ME STAJE APPENNENN’ AMÒ, il brano più danzereccio del lotto. Tuttavia il concerto non è stato concepito come quello del C2C dello scorso novembre: se lo show torinese era stato ideato per far ballare, quello di Napoli è stato pianificato per far cantare. Tant’è che spesso LIBERATO permette al pubblico di cantare in solitaria. Il concerto, dopo una cinquantina di minuti, si chiude con TU T’E SCURDAT’ ‘E ME cantata a squarciagola da tutti.

Non sono stati presentati nuovi brani dal vivo, anche se in molti si aspettavano la presentazione dell’album o, quantomeno, l’epilogo della tormentata storia d’amore dei protagonisti dei video.

LIBERATO e i due musicisti-comparsa si concedano dal pubblico con il pugno sinistro rivolto al cielo, per poi scendere dal palco, risalire sul gommone e svanire nel golfo di Napoli dinnanzi al pubblico accalcato sugli scogli.

LIBERATO trascende il piano prettamente musicale, nonostante la musica sia al centro del progetto. Attualmente è l’unico artista/collettivo italiano che è stato in grado di concepire, realizzare e portare successo (anche se, almeno al momento, non è corretto parlarne come artista mainstream, meglio overground) un progetto del genere.

L’identità di LIBERATO resta ancora un mistero, ma alla fine dei conti chi cazz’ se ne fott’!.

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Foto: Il Mattino, Glauco CanalisAlessandro Pone