jg1Sarebbe stata la scelta più semplice, la più retorica, e invece da persona intelligente e lucida quale è, Jose Gonzalez ha preferito mantenere il silenzio e dispensare sorrisi. Sono stati giorni frenetici, in cui il fastidio dello starnazzamento sui social e i vari media è stato solo secondo, purtroppo per distacco, all’ennesimo atto vile e terroristico di cui sono stati vittime Parigi e i suoi cittadini. A pochi giorni dai fattacci del Bataclan, tra sciacallaggio politico, improvvisate analisi geopolitiche di chi non hai aperto un libro (o forse un giornale?) in vita sua e svariate allerte nelle principali metropoli europee, era inevitabile che si insinuasse il dubbio, la paura che ciò potesse accadere di nuovo; e invece sull’Alcatraz regnava la pace, i volti del pubblico erano distesi: un rapido controllo al metal detector e si entra in sala.
Dopo l’esibizione di Gonzalez mi attende il martirio, ossia una festa privata organizzata dalla mia Università, dove diversi colleghi attesteranno il proprio livello di spagnolo avanzato sulle note (?) di El Mismo Sol, ordunque mi affido alla chitarra del cantautore svedese per sfuggire a questi torbidi pensieri. Ad aprire la serata sono i Cristobal And The Sea, multietnici, tra ritmi bossanova e indie folk, intrattengono la platea come se fossero dei navigati performer, nel frattempo intorno a me si palesano diversi esemplari-stereotipi di fauna concertistica: i riconoscitori di brani, sempre attenti a sciorinare la loro presunta competenza per sentirsi fighi, i coristi, ossia coloro che cantano immancabilmente ad ogni brano(se sono stonati si piazzeranno inequivocabilmente accanto a te) e i fastidiosissimi urlanti, che discernono del più e del meno, solitamente urlando a pochi centimetri dalla tua tromba d’eustachio; life is unfair.
Poi si manifesta il Nostro: sistema l’immancabile chitarra classica, accenna un saluto, e parte subito in quarta con Crosses: difficile ricostruire con le parole l’atmosfera intima, aiutata dalle luci soffuse, o solo descrivere il fingerpicking di Gonzalez , puro balsamo per l’anima. Dal secondo brano in poi, lo svedese verrà accompagnato dalla band, che non sto neanche a sottolinearlo, non esegue mai una nota di troppo. Se i momenti di minore coinvolgimento sono probabilmente legati ai brani dell’ultimo Vestiges&Claws, che pur mantenendosi fedele al suo stile, con soffici ballate stilisticamente non dissimili da un Justin Vernon o un Devendra Banhart, non arriva a scaldare la platea come con le cover: irripetibile è la qualità dello svedese di sviscerare, sezionare e letteralmente trasformare canzoni altrui, non importa che l’autore si chiami Kyle Minogue o Massive Attack (epico e richiestissimo il rifacimento di Teardrop). Assistere a un concerto del cantautore di Goteborg è un’esperienza che elimina le distanze: l’acustica cessa di essere un problema, ogni musicista sembra essere in simbiosi con gli altri componenti, le conga e le altre percussioni cullano l’ascoltatore, il sidestick del rullante non è mai invadente. Gonzalez spezza il ritmo del pubblico, alterna brani acustici e d’atmosfera come Deadweight On Velveteen ad episodi più elettronici dei suoi Junip. jg2Heartbeats, rifacimento dei connazionali The Knife, chiude la prima porzione del live, con il suono dello xilofono ad arricchire la già rutilante melodia.
Il ritorno on stage viene salutato con estremo calore dalla folla, che si stava già interrogando sulla durata esigua dell’esibizione. Tocca alla solennità di Down The line chiudere la serata, con il suo mantra quasi profetico: “Don’t Let The Darkness Eat You Up”. Parafrasando il sociologo McLuhan, che soleva distinguere i media in caldi (quelli che coinvolgono totalmente lo spettatore e ad alta definizione) e freddi (a bassa definizione, che richiedono dunque partecipazione attiva da parte del fruitore), il medium Gonzalez è freddissimo, coinvolgente, sinestetico.jg3

 

(foto credits: Alcatraz)