Il successo del release party di Sacrosanto al Serraglio di Milano ha segnato l’inizio di una nuova fase nella vita artistica dei Gomma confermando, se ce ne fosse bisogno, che 730 giorni sono pochi, ma abbastanza per stravolgere se stessi. Non solo in studio ma anche sul palco.

Sarà la giovane età, sarà che il tempo è un concetto relativo, ma due anni sono sufficienti per guardarsi allo specchio e trovare davanti agli occhi un riflesso nuovo, tanto diverso da non riconoscersi quasi più.

Leggendo alcune interviste a margine dell’uscita del nuovo album Sacrosanto si percepisce che il cambio di rotta è stato in parte voluto, ma rappresenta anche la naturale evoluzione delle cose, del modo di vederle e di giudicarle ed ovviamente di musicarle. La band soffre a tratti di un senso di colpa (eccessivo) rispetto alla fase iniziale del proprio percorso. Ed è una sensazione così significativa che sembrano quasi sollevati dal non riconoscersi più, come se volessero arrivare perfino a cancellare le orme dei primi passi impresse sulla sabbia. Del resto un po’ tutti quando guardiamo il nostro outfit del passato vorremmo (stupidamente) nasconderci nello sgabuzzino. Così vanno le cose e, senza cucirci sopra troppi ragionamenti, le cose dei Gomma dovevano andare proprio così.

Se questo è il presupposto, allora, per chi ha vissuto l’esordio di Toska, il nuovo live non può non diventare argomento di discussione.

Memori, infatti, di esperienze di live molto più sbragate, con livelli di rabbia interiore altissimi e manifestata senza pudore, siamo stati catapultati in un contesto completamente differente. Che non vuol dire che quello che c’è stato là e allora lo prendiamo e lo mettiamo nel cestino dell’umido, né che qua ed ora ci siamo tenuti le mani sulle note di Addio, ciao ciao, Auf Wiedersehen, goodnight. Al contrario siamo di fronte ad una band punk fatta e finita con contenuti molto seri e che ha preso la strada del professionismo con profondo rispetto. E tutti si è preso atto di questo nuovo modo di gestire il disagio, nonché di un livello di consapevolezza decisamente superiore.

Il concerto si è aperto con Fantasmi e sono bastati pochi secondi per capire che la band ha trasformato le esperienze passate in benzina con cui infiammare i nuovi spettacoli. Si continua a percepire che sotto la superficie il mare è mosso, ma la parte irrazionale della sofferenza viene controbilanciata da un certo disincanto. Alle urla tardo adolescenziali, più simili ad uno sfogo che ad un pensiero cosciente, si sono succeduti toni più cupi, pur nella piena coerenza del progetto.

Ma questo non vale solo per i brani di Sacrosanto (Verme, Pessima Idea, Strade, Verme, Tamburo, Quarto Piano, Balordi e Santa Messa) per il quale, comunque, è già di per sè evidente l’evoluzione artistica. Ma vale, soprattutto, per i brani di Toska che sembrano massacrare di colpi di accetta le vecchie versioni: Aprile, Sottovuoto, Arrendersi e Vicolo Spino, ma anche Elefanti (già sui generis) vengono coperte da una patina estremamente grave, specie nella voce di Ilaria. Ci sono fotografie vecchie di 20 anni che man mano che le rivedi, col passare del tempo, suscitano emozioni diverse. L’effetto è questo e dà l’idea di essere un processo biunivoco che colpisce lo spettatore, ma anche chi si esibisce. Non so se mi spiego.

Che poi, forse alla fanbase non gliene frega granché. Dopo il primo stacco ha iniziato a pogare e a cantare come ad un concerto Itpop e merita un cenno a parte il fatto che, a neanche una settimana dall’uscita dell’album, i pezzi sono stati cantati a memoria (proprio come ad un concerto Itpop).

Sul palco si è imbucato per un paio di pezzi anche Generic Animal. Duetti di Falò (poi rifatta in versione original nel reprise) e Aeroplani con i quali si è aperto un momento di decompressione assolutamente centrale in questa ora di live serratissimo che ha caricato a molla giovani, meno giovani e normcore e che si è concluso con Ilaria – in tenuta funerea per l’occasione – completamente sdraiata sul suo pubblico.

Il cambiamento è stato evidente e col passare dei live assumerà una forma sempre più imponente, ma il concept è rimasto il medesimo, così come è rimasta invariata la ruvidità di fondo, che è espressione di quell’inquietudine interiore che è nata sulla Smemo e che continua a contraddistinguere la band. Ma, mentre la parte ridondante è stata lasciata per strada, i messaggi sono gli stessi. Solo che, dopo 730 giorni circa, i Gomma sembrano aver imparato una lingua diversa per esprimerli.

Foto di Andrea Pelizzardi