Boiler-Room

Prima della mia partenza per Sydney il mese scorso, tra le tante cosette che googlai (appartamenti, meteo, strip club, stecche indigene ecc…) c’è stata ovviamente “party in Sydney” e fatto sta che per puro caso, fortuna o quello che volete, per la serata di giovedì 17 davano una serata Boiler Room. Per la prima volta in città, per la prima volta in Australia.
Poi il mese è passato e mi sono ritrovata in un batter d’occhio nella terra dei kangaroos, mercoledì mi sono decisa a prendere il ticket per l’evento (25$, esticazzi, menomale che in Boiler Room l’entrata dovrebbe essere free, sì ok a posti super limitati, ma gratis) e così giovedì mi sono fatta bella, perizomino e via verso il club.

Ah scusate, dovrei forse spiegare agli ignari cos’è Boiler Room? Ufff che palle ok. Dunque Boiler Room è una serata nata a Londra dove alcuni gravidi partorirono l’idea di riprendere un normale evento da club attraverso una webcam………

226645_487584904620559_1618133211_nAllora dicevo, praticamente arrivo al club in questione alle ore 20.30 (c’era scritto che le porte aprivano alle 20.00 ed era tutto sold out), ma come sospettavo non c’era un cane lì fuori e allora mi sono andata a mangiare un Whopper da BK che fa sempre morale. Alle 21 quindi torno ed entro all’interno del locale, tale GoodGod Club, scendo le scale e mi ritrovo dentro ad una paninoteca. “Sorry man, is this the club?” – “No cogliona, se vai avanti c’è una porta con sopra scritto – Danceteria -, svegliati.”. Superato questo primo ostacolo, cercando di non guardare i mega hamburger e i piatti strabuoni che sfrecciano a pochi passi dalla mia persona, arrivo dalla listarola, mostro il passaporto ed entro.

Mentre uno dei djs sconosciuti in programma stava già suonando, inizio a perlustrare la zona sentendomi una sorta di James Cook del nuovo millennio, e subito le prime impressioni.
Club intagliato nel legno, panche di legno, travi di legno, parquet di legno, tutto molto friendly a metà via tra una baita di Ortisei ed un Irish pub; mancava solo Mokujin a offrirmi da bere al bancone, per dire. Ma sei in Australia Karola su, cazzo pretendi, pensala più easy. Sciallo totale che si evince soprattutto dagli outfit dei presenti, più adatti ad una giornata in spiaggia che ad una serata vera e propria: probabilmente coi pantaloni lunghi eravamo in 3 (contando i due buttafuori). Ma ecco improvvisamente su un palco rialzato la crew di Boiler Room composta da:

– Rasta Merdasesonofigocelihaitesticapelliohsfigatodimerdaadessovadodavantiallatelecameramisparoduepassiallacazzo

mentremibevostabirrettaanalcolicaciaoplebeo

-Chiattona Sonovestitacomeilgabibboesonoalpcpercontrollarechetuttovadaallaperfezioneihihhpoipiùtardimifaccio

sbatterefortetranquiihihih

Giro la testa. La formula dancefloor-dj stage è sempre la stessa: davanti al suonatore nulla se non una telecamera puntata dritto verso di lui e verso la pista alle sue spalle. George Fitzgerald mi disse una volta che questa situazione è in realtà poco piacevole per il dj, che non può vedere il proprio pubblico per avere il contatto emotivo necessario e che si trova di fronte soltanto questo grande occhio inquisitore che non fa altro che aumentare la pressione mettendo a rischio di conseguenza la performance. Però va beh, sei in Boilerz. Si fa. E muto.

Pochi minuti e il locale si fa pieno (non ci voleva poi così tanto), si entra quindi nel vivo della serata. Sensazioni sicuramente positive, gente più o meno interessata a musica e djs, ma presa davvero benissimo. Per quanto riguarda la line-up quasi nulla di rilevante, tutti esponenti locali che tuttavia si sono comportati in maniera onesta. Sottolineo tale Cliques, che con un suono “terra inesplorata” fatto di dubstep fidgettina/electro con forti influenze tribali, ha saputo sorprendermi in maniera inaspettata.

L’atmosfera molto casereccia, “alla vecchia” il termine più azzeccato, è sicuramente molto diversa da quella londinese/berlinese che si percepisce in una normale serata Boiler Room ricolma di guest da prima pagina, però probabilmente qui è giusto che sia così. Si è nella terra del surf, dei parchi naturali, di Alessandro Del Piero, e i capelloni biondi con canotte colorate alle spalle del dj rendevano perfettamente l’idea di questo mood selvaggio, nonostante il loro protagonismo di fronte alla telecamera rivelava una chiara consapevolezza rispetto a quello che stava accadendo. Furbetti mangiatori di ecstasy eheheh.

Quando è salito in consolle un ragazzino che ha iniziato a mettere techno pesante ho tirato un coppino al rasta salutandolo amichevolmente e mi sono diretta verso l’uscita, pensando che fosse veramente arrivato il momento di lasciare il locale (che intanto era diventato una fornace nella quale volava alcool da una parte all’altra) per tornare a kasina.

Conclusioni: serata figa per varietà musicale (i Canyons alla fine hanno messo i Tame Impala) e per clima da vero party ma a mio avviso non considerabile come una vera Boiler Room alle quali sono e siete abituati ad assistere tutti da casa.

Conclusioni 2: tantissimi fighi indi ma si sa le pretese degli indi, ci vuole una dialettica quasi perfetta per fare battute indi, quindi niente limoni.

Conclusioni 3: sono stata in Boiler Room a differenza vostra poveracci, e quando un giorno lo racconterò ai miei nipotini sapete loro cosa mi risponderanno?

Mughetto.

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