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I Bob Moses sono canadesi: esteticamente, non rispecchiano lo stereotipo del boscaiolo con camicia a scacchi a cavallo di un alce e rispettoso della natura. Tom Howie e Jimmy Vallance (ndr: quest’ultimo sembra il sosia di Ed Sheeran), compongono il duo elettronico più richiesto del momento, scalciando in un angolo i Disclosure come fossero passati di moda. Ad ospitare un live chiacchieratissimo nella Capitale – la scena, quella che frequenta i posti giusti, è tutta presente – è il suggestivo Teatro Quirinetta, a cavallo fra classico e contemporaneo, mescolando pareti specchiate e scale foderate in velluto, ad una ristrutturazione interna decisamente moderna.

L’opening act è affidato a Rhò, alter ego di Rocco Centrella, cantautore romano in grado di tenere testa al compito egregiamente: favorito anche dallo sperimentare sonorità elettroniche che mantengono il mood dell’evento lineare, il sound non è danzereccio, ma evocativo e soffuso, tratto distintivo della sua produzione. Trenta minuti scorrevoli, durante i quali Centrella mostra la propria esperienza di polistrumentista, sbizzarrendosi sul synth e sfoderando una voce delicatissima.

Il tempo di una sigaretta e di prender posto sotto palco, che alle 23 precise i Bob Moses fanno il proprio ingresso, in rigoroso total black, tastiera e chitarra. Tom alternerà il canto al sorseggiare una lattina di quello che sembra, apparentemente, thé al limone, senza perdere per un istante lo charme da seduttore che gli farà conquistare il pubblico femminile – predominante – , ammiccando e lanciando sorrisi. Le prime file sono affollate di donne, alcune in preda a deliranti crisi isteriche, che fanno la gioia dei pochi uomini presenti e la condanna dell’udito, strillando “Fuck me! We love you“, ad intervalli regolari di quindici secondi.

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I due sono una cannonata, il Quirinetta si trasforma in un dancefloor accaldato già sulle note del primo pezzo, Talk; i bassi sono potenti, Tom e Jimmy se la ballano divertiti come creature da club, ma la nota dolente giace nell’impianto, che rende l’acustica pessima. La voce di Tom è quasi impercettibile, sovrastata dalla chitarra e dal sintetizzatore; il suono graffia, la sensazione è quella di trovarsi all’esterno di una discoteca, con la musica ovattata che rimbomba. L’inconveniente rende il live, di per sé eccezionale, a tratti un po’ monocorde, fondandosi su una linea di basso, più che sui testi intonati da Howie.

Ciò nonostante, l’energia è forte e l’entusiasmo si avverte: tutti ballano, si cimentano in coreografie degne del miglior set techno e i Bob Moses si divertono, interagendo coi presenti e ringraziando il pubblico più volte. Si prosegue con Like It Or Not e Before I Fall, e sembra quasi una festa privata fra amici che si conoscono da anni e son presi benissimo. Tearing Me Up scatena l’inferno, ventate di ormoni femminili esplodono fra le groupies già citate. Il livello dell’esibizione è elevato: pur trovandosi su un palco spazioso, i due da soli lo dominano completamente. Ancora, All I Want è un crescendo continuo fra le mura di un teatro; a fine concerto, dopo un encore applauditissima, i Bob Moses si congedano sinceramente soddisfatti, trasmettendo la sensazione che sia stato bello per loro, quanto lo è stato per noi.

Lo spazio viene lasciato al dj-set di Marco G.& Mr. Kite, per chi ancora non è stanco di dimenarsi sotto cassa. Beati voi che avete ancora vent’anni.

Per la cronaca, se dopo questo strepitoso concerto il gentil sesso in sala avrà partorito dei figli, dovrebbe chiamarli Tom e Jimmy, se lo sono davvero meritato.