Ci sono alcune cose nella vita che bisogna fare almeno una volta: il viaggio alla Mecca per i musulmani, il bagno nel Gange per gli induisti, il battesimo Cristiano. Non per creare paragoni fuori luogo ma, posso affermare che per un “clubber”o che si voglia appassionato di sonorità affini all’universo discotecaro (quello di qualità, s’intende), assistere ad una performance alla console di Sascha Ring in arte Apparat diventa imprescindibile al livello di qualsiasi altro precetto religioso.

Si vocifera che il dandy berlinese preferisca dormire prima delle sue esibizioni ai piatti, voci che in prospettiva serata mi preoccupano un po’. Già perché tantissimo mi era piaciuto il suo The Devil’s Walk album uscito l’anno scorso(tanto da inserirlo in una personale top 10 releases), tantissimo mi emozionò il suo live (con tanto di band al completo) sempre l’anno scorso a Padova. Però il club è un’altra cosa, si sa. Pezzi come Black Water rimangono di immagnifica bellezza ma c’è bisogno di altre vibrazioni, waves mentali che obbligatoriamente devono scendere ed espandersi alla carne per smuoverla, almeno per qualche ora. Sascha lo è sempre stato uno scuoti-carcasse, fertile in campo di elettronica intelligente d’ambiente va poi a bussare alla porta dei coetanei Ellen Allien e Modeselektor (insieme per Moderat) dj-settando praticamente ovunque ma io, per inesperienza o per annebbiamento dovuto al suo ultimo progetto in studio, nutrivo i miei dubbi su un effettivo gradimento della prestazione al mixer (ho usato l’imperfetto).

credits Martina Deni

Ma non perdiamoci in inutili giri di parole. Sono le ore 01.10 quando Apparat sale sul palco (sarebbe dovuto salire venti minuti dopo, ma è tedesco per fortuna) salutando il pubblico con un sorriso mentre Need A Name che occupava il palco toglie i suoi ultimi strumenti. Sascha ha i riccioli coperti da un beanie nero che gli conferiscono un tono decisamente più cupo rispetto alle prestazioni da orchestra, look che sembra presagire un inizio di stampo teutonico, che era quello che mi aspettavo pensando alla serata. Ed invece no. Le note sono quelle di So will be now di John Talabot, pezzo che riconosco all’istante causa amore incondizionato verso Fin, l’ultimo album dello spagnolo misterioso che conteneva proprio questa traccia prodotta in collaborazione col fratellino Pional. In effetti considerando in toto il lavoro di Talabot questo è sicuramente il singolo di matrice più deep house, tuttavia rimango comunque spiazzata dalla scelta iberica. Qualche minuto dopo si cambia e sento chiaro il sample vocale di Ye Ye di Daphni (aka Caribou), uscita anch’essa di quest’anno all’interno dell’ultimo lavoro di Snaith. Intanto la folla già eccitata, qualche incredulo cerca di shazammare il pezzo e la fortuna aiuta i curiosi: Karola deridendo l’app rivela subito il titolo al bisognoso. Non c’è due senza tre, altro pezzo del 2012 che riconosco in qualche secondo, si tratta ancora di Pional questa volta con Into A Trap altra traccia che giudico tra le più potenti dell’anno, presente all’interno dell’Ep Last House On The Left (questa suonata a bpm leggermente aumentati). Si guarda molto intorno il nostro Sascha, e ne ha ben donde. Stupore di qualche intenditore che fa compagnia al mio, scelte che nella prima frazione mi hanno spiazzato, in maniera però totalmente positiva. Ho sete, non faccio in tempo ad andare al bancone che si cambia scenario; qualche intervallo onirico, vocalità sussurrate sono solo il preludio ad un aumento di tono, con una cassa che si fa sempre più invadente. Siamo giunti in territorio Border Community; quest sono le lande che occuperanno tutta la parte centrale dell’esibizione, con cambi di chiara matrice Holdeniana per arrivare ad una aggressività alla Nathan FakeAvete mai visto quanto suda quest’ultimo durante i suoi set? Beh io ne ero una degna emulatrice, il caldo a poco a poco si era fatto insostenibile, la situazione in generale diveniva rovente. Ho sinceramente avuto paura quando ho sentito note che mi ricordavano la hard house distruttrice alla Blawanroba da rimanerci veramente sotto, ma fortunatamente (per la mia salute) è stata una martellata passeggera. Entrati a pieno nella seconda parte del set ritornano le vocalità, questa volta al limite del commerciale; ho riconosciuto infatti The Hope traccia contenuta nell’ultimo album di ScubaPersonality, sempre di questo 2012. Finalmente sento le sonorità a cui mi ero preparata, rimbalzi Londra-Berlino tra garage e techno raffinata che occupano l’ultima parte del set, che vede la sua conclusione intorno alle 3.30.

Ha suonato tanto Apparat, e bene soprattutto. Davvero pochi cali di tensione, un percorso musicale assolutamente poliedrico e completo che potrebbe fungere da esempio per capacità selettiva e da guida per i meno aggiornati sulle nuove uscite. Unico neo rimane probabilmente la scelta del locale: il Locomotiv seppur underground, mi è sembrato più adatto in altre circostanze nonostante la presenza dietro console di un visual che effettivamente funzionava. Ma fossero questi i veri problemi.

Occasione davvero unica e che consiglio a novelli e navigati, i 15 euro meglio spesi degli ultimi tempi.

 

p.s. per chi se la fosse persa, qualche settimana fa abbiamo pubblicato questa cosina #Apparat. Enjoy —> http://deerwaves.com/?p=10145

 

credits Martina Deni