Una cosa che amo fare quando sono in giro, specialmente in luoghi affollati come stazioni, aeroporti, piazze, è osservare le persone che mi circondano. Da sempre mi piace immaginare le loro vite in base al loro aspetto, inventare i motivi che li spingono a viaggiare o a restare immobili, basandomi solamente sulle espressioni dei loro volti, scovare i loro pensieri nelle rughe e negli occhi. Che poi, nei volti in sé, difficilmente c’è qualcosa di speciale, qualcosa che colpisca indipendentemente dal resto: sono le storie dietro le quinte a renderli interessanti.

Un matrimonio, una casa addobbata per Natale, Venezia, Milano, Roma, Napoli, un treno e i suoi passeggeri, le campagne al tramonto, la tenerezza di un bambino che gioca mentre una nonna stende il bucato, dei fiori, dei fuochi d’artificio, un sorriso.
Cosa c’è di speciale in tutto ciò? Niente.
Sono immagini che tutti noi abbiamo vissuto ancor prima di aver visto, sono nostre, ognuna in maniera diversa, ma ormai non ci stupiscono più.

Eppure, quando esse scorrono sullo schermo durante il live di Alessandro Cortini (alla Santeria Social Club a Milano, per il warm up della rassegna Linecheck di Elita), colpiscono dritte al petto nella loro semplicità. Non c’è più la repulsione che si provava anni fa, quando i parenti chiamavano in adunata la famiglia per vedere il fatidico “filmino”. Nell’osservare storie altrui vi è la riscoperta personale della serenità nel quotidiano, dell’affetto nei piccoli gesti, dell’amore in uno sguardo, del ricordo in un’inquadratura.
Allo stesso modo, le composizioni di Cortini, tratte dal suo ultimo lavoro Avanti, si intersecano perfettamente, a livello teorico e pratico, con le riprese in background, estratti della sua vita. I sintetizzatori analogici e il Super 8, il nastro del delay e il nastro della pellicola, il rumore bianco e il rumore visivo, sono tutti figli di un altro tempo, ma rivivono oggi con una forza che probabilmente nemmeno loro sapevano di possedere.

Cortini è un artigiano dei sintetizzatori, sa rendere umani i circuiti modificando a piacimento droni e landscape ambientali, distorsioni e saturazioni, qualsiasi forma d’onda. Ogni volta i brani iniziano come se fossero fuori fuoco mentre si odono voci lontane, ricordi ormai sbiaditi. Piano piano però lo spettro di frequenze si amplia e si bilancia, i bassi fanno il loro ingresso e il cutoff inizia ad aprirsi irrorando di luce le melodie. I suoni si fanno via via sempre più crudi, veri, palpabili.
Ciò che sconcerta ancor di più, inoltre, è tutto quel compendio di oscillatori che suonano leggermente fuori tonalità: è la bellezza dell’analogico, sì, ma è anche e soprattutto la bellezza di un’arte umana, un’arte che ognuno può fare propria attraverso l’interazione privata tra performance audiovisiva e vissuto personale.

Come un ricordo lontano, però, il live di Alessandro Cortini è destinato a sbiadire sino a svanire, purtroppo dopo nemmeno un’ora, risvegliando bruscamente gli avventori che si stavano calando sempre di più nell’esperienza.
Anche se per poco, Cortini ha saputo emozionare, è riuscito coniugare passato e presente rendendo tangibili le figure della memoria, estrapolandole dal tempo, facendoci riscoprire la gioia in una semplicità che oggi, troppo spesso, sembra andata perduta.