Oggi vi raccontiamo velocemente i nostri pensieri su una manciata di dischi usciti negli ultimi giorni: il ritorno dei Killers dopo 5 anni, l’esordio solista di Rostam dei Vampire Weekend, il secondo album di Benjamin Clementine e tanto altro.

Chelsea Wolfe – Hiss Spun

Uno dei più grandi pregi di Chelsea Wolfe è quello di far piacere il metal anche a chi lo schifa. Quelli che di solito storcono il naso non potranno negare la forte impronta metal dell’artista, soprattutto con la svolta degli ultimi due album – più doom nel precedente Abyss, più sludge nell’ultimo Hiss Spun, che è prodotto da Kurt Ballou dei Converge e ospita addirittura il growl di Aaron Turner (Isis) nel singolo Vex. Quello di Chelsea Wolfe è però un metal elegante, vulnerabile, che esaspera lo stridore prodotto dall’incontro/scontro tra una voce eterea e dei riff corposi e violenti; stridore che band, produttore e ospiti sanno impacchettare con cura, senza mai strafare o lasciare che le componenti si scontrino o annullino a vicenda. L’immaginario dell’album ruota attorno ad elementi fisici e carnali e rimandi a vessazioni corporali, spesso autoinflitte, simboli di quella che la stessa Wolfe definisce “l’accettazione del caos che si ha dentro”. Quel caos interiore è così ben incanalato in Hiss Spun che riesce a dare un’ottima ragion d’essere all’aggressività che c’è nel disco. E se col tempo i musicisti ricorrono a sonorità man mano più melodiche rispetto ai primi lavori, il sesto album di Chelsea Wolfe dimostra che si può fare l’esatto contrario senza compromettere la qualità compositiva del prodotto finale.

Voto: 7.6 – Claudia Viggiano 

METZ – Strange Peace

Terzo lavoro per il trio più rumoroso di casa Sub Pop: dopo il fenomenale debutto METZ e l’approccio molto simile di II, anche per la band canadese arriva la fatidica prova del terzo album. Strange Peace gioca benissimo le sue carte perché alla produzione c’è uno che si chiama Steve Albini, che quando produce diventa un po’ il re Mida delle band punk/noise. Strange Peace rallenta un po’ il passo senza perdere colpi, e anche quando va sul sicuro coi riffoni metallici e memorabili (Cellophane, Raw Materials, Common Trash) dimostra uno studio compositivo più maturo, oltre a un’attitudine che li porta ad esplorare altri generi pur conservando una chiara identità hardcore e noise. La sezione ritmica, il passo e la voce del brano d’apertura Mess of Wires pescano liberamente dal post-punk più recente; il riff ansioso di Caterpillar, che si rifiuta di esplodere, richiama a tratti i Drive Like Jehu, e la sua controparte Lost in the Blank City, che si trascina su delle percussioni gravissime, richiama i Pissed Jeans se non addirittura i Fugazi, mentre le distorsioni metalliche della chitarra di Alex Edkins fanno tanto Shellac, ma in realtà fanno anche tanto METZ – una collaborazione che s’aveva da fare.

Voto: 7.2 – Claudia Viggiano

The Killers – Wonderful Wonderful

Wonderful Wonderful è arrivato in un momento particolare per i Killers: cinque anni di silenzio e un Brandon Flowers più aperto che mai ci riconsegnano la band di Las Vegas nella sua veste più onesta. L’album è dedicato alla moglie del frontman, vittima di un disturbo post-traumatico causato da un’infanzia difficile, e racconta di come Flowers abbia dovuto imparare ad aiutarla e capirla. La title-track è una dichiarazione di intenti, ma crea false aspettative: è un chiaro rimando a ciò che la band fu e che forse vorrebbe tornare ad essere (un giro di basso iconico come fu per l’indimenticabile Jenny Was A Friend Of Mine), senza averne più l’ispirazione. La personalità smaccatamente pop e grossolana di Flowers prevale in molti episodi chiave (Rut, Life To Come, Some Kind of Love), facendoci sbattere contro l’inevitabile: brani come Read My Mind non ne vedremo mai più. Il “marchio Killers” non è del tutto morto (brani come Run For Cover lo testimoniano), sintomatico però che il pezzo più riuscito risalga al periodo di gestazione di Day & Age. Fortissime, come sempre, le influenze anglosassoni (con una ricerca spasmodica a ritornelli riempi stadio à la U2 o Coldplay), e non è un caso se l’Inghilterra sia il paese dove storicamente la band ha sempre riscosso un successo incredibile (5 album per cinque numeri 1 nelle classifiche, 7 se contiamo anche gli album solisti di Flowers). Wonderful Wonderful non è un album oggettivamente brutto ma, per quanto ad anni luce di distanza dal deludente Battle Born, non dimostra se chiamarsi Killers con questi presupposti abbia ancora senso.

Voto: 5.8 – Eleonora Ducci

The World Is A Beautiful Place & I’m No Longer Afraid To Die – Always Foreign

Quattro anni, tanto è passato da Whenever, If Ever, storico debutto dei The World Is A Beautiful Place & I’m No Longer Afraid To Die e disco tra i più simbolici dell’ondata emo revival iniziata nel 2010. Cosa rimane ora di quella band, i cui membri si sono alternati e scambiati di ruolo più e più volte? Dopo la splendida evoluzione di Harmlessness – brani più ricchi, più lunghi e una scrittura sempre più ispirata e peculiare – serviva un altro salto di qualità. Ecco allora Always Foreign, l’album in cui le velleità screamo degli esordi lasciano ufficialmente il passo ad un revival pop punk (The Future, Dillon And Her Son) e post-rock, come se i ragazzi di Harmlessness avessero passato due anni ascoltando incessantemente Explosions In The Sky, Blink-182 e In The Airplane Over The Sea, contestualizzando il tutto attraverso gli occhi di chi vive sulla sua pelle l’America di Trump e ha da sempre avuto un fortissimo interesse sociale per temi quale l’omofobia, il razzismo e l’integrazione culturale (“Always Foreign”, appunto). Brani come Hilltopper, Faker e Fuzz Minor raccontano storie di accuse e sconfitte con i crescendo tipici della band, che su Marine Tigers e Infinite Steve manda tutto in caciara, esplodendo in due dei brani più riusciti di una discografia già sterminata. Con Always Foreign i TWIABP si ritagliano uno spazio riconoscibile e ben definito all’interno del calderone dell’indie rock, con buona pace dell’emo, di ciò che è stato e che forse non sarà più.

Voto: 7.4 – Sebastiano Orgnacco

Rostam – Half-Light

Rostam Batmanglij lo si conosce principalmente per essere il chitarrista dei Vampire Weekend e già questo potrebbe bastare. Per fortuna però il ragazzo (oramai cresciuto) da diversi anni produce grandi artisti in sordina tra cui Charli XCX, Frank OceanSolange Knowles, HAIM e Santigold. Non contento, qualche giorno fa ha pubblicato il suo primo album solista e amici cari è il momento per dirlo: indie è per sempre. Sì, perché Rostam riapre il capitolo di Modern Vampires Of The City e ci porta i migliori suoni indie e dintorni di questo decennio in una 50ina di minuti, svariando da Panda Bear ai Bombay Bicycle Club. Il suo talento viene evidenziato appunto dalle molteplici variazioni di stile che si ascoltano in questo disco: Hold You sconfina nel moderno R&B, Wood ci porta in oriente e Rudy esplode in una parata reggae. Che vi manchino i Vampire Weekend o abbiate bisogno della vostra iniezione trimestrale di indie/world music ascoltatevi questo album.

Voto: 7.5 – Andrea Pelizzardi

Benjamin Clementine – I Tell A Fly

A distanza di quasi tre anni dal proprio debutto, unico nel suo genere, Benjamin Clementine ha compiuto un cammino non da poco, raccontando al mondo la storia di un artista partito da zero, un fiore sbocciato nell’ambiente più critico, ancorato al terreno e input per la nascita di una vasta flora.  Vasta perché nel giro di tre anni l’artista non si è fermato un secondo, tra tour in giro per il mondo e collaborazioni con artisti di alto livello (si veda Halelluja Money insieme ai Gorillaz), il cantante e pianista ha avuto modo di farsi sentire dalle più distinte folle.
I Tell A Fly loda At Least For Now, portando il talento di Clementine ad un livello ancora più alto. Nel secondo disco dell’artista il livello si alza grazie a delle atmosfere gospel, incentivate poi da ritmi decisamente più marcati. Il piano di Clementine suona incessantemente tra vocalizzi, cori di ogni tipo, ritmi incessanti che vanno dall’aggressività di One Awkward Fish allo scandito dowtempo di By The Ports Of Europe. Il dramma Londinese torna con God Save The Jungle, in cui la poesia dell’artista diventa sottile critica al governo Inglese e alla sua monarchia, devastante per le menti dei giovani britannici. Allo stesso modo, Phantom Of Aleppoville è poesia usata come metro di giudizio, da una parte verso uno stato che sta uccidendo pian piano i propri abitanti, dall’altro il racconto di un ragazzo bullizzato a lungo, senza ragione.  Quintessence Ave Dreamer raffreddano infine i bollenti spiriti con una tesa ballata conclusiva.
I Tell A Fly afferma l’innegabile talento di Benjamin Clementine, cantante, pianista e poeta ormai affermato, le cui doti sembrerebbero crescere sempre di più con il passare del tempo.

Voto: 7.8 – Claudio Carboni