Non è facile recensire un album così americano, così simile ai suoi precedenti lavori, ma non uguale. American Weekend e Cerulean Salt avevano mostrato le capacità canore di Katie Crutchfield, in arte Waxahatchee, inserita alla perfezione in quel revival riot grrrl che da un paio d’anni si sta riversando nella east coast americana, meno feroce e più vicina alla tradizione americana, con i chitarroni quando serve e l’acustica per i cuoricini sensibili degli Yankee.

Ivy Tripp, si lascia trasportare lungo tredici tracce. Tralasciando per un momento la prima e l’ultima, parlerò in maniera generale di quello che ci attende al loro interno: le canzoni sono brevi (poche di esse superano appena i tre minuti), i momenti elettrici sono quelli più carichi e che restano ben in testa; i pezzi acustici o al pianoforte lasciano invece un po’ di amaro in bocca, rallentando in maniera talvolta eccessiva il lavoro e creando dei grossi sbadigli, comunque, mai capaci di farci addormentare a causa della loro contenuta lunghezza.

Nel loro complesso le canzoni ricordano molto da vicino i lavori pre-Keep It Like a Secret dei Built To Spill e dei Galaxie 500; si possono captare anche i Pavement (Less Than) e addirittura in The Dirt ritroviamo il giro d’accordi di Son Of A Gun dei The Vaselines; ovviamente non posso esimermi dal nominare gli Swearin’, la band della sorella gemella (Allison) che con Waxahatchee condivide le sonorità.

Ritorniamo dunque a parlare delle due tracce che abbracciano l’album: più lunghe di tutte le altre (entrambe attorno ai cinque minuti), molto interessanti e sperimentali, nel loro piccolo per Waxahatchee. La prima traccia: Breathless, si estende sopra un tappeto d’organo distorto che crea un’ambiente teso, spezzato dalla voce angelica di Katie e da una flebile chitarra in feedback. L’ultimo pezzo: Bonfire, potrebbe essere tranquillamente una traccia dei Galaxie 500. Lenta e dilatata con appena una percettibile chitarra fuzzeggiante; la voce, forse troppo edulcorata, sovrasta la melodia che si lascia trasportare fino a svanire.

Il disco, come detto, ha 2-3 punti calanti che non raggiungono mai il punto di rottura e sono uno smacco rispetto ai suoi due precedenti lavori, molto lineari per tutta la loro durata. Bisogna però ammettere che le due canzoni poste all’estremo del disco e certe strutture ricercate delle altre canzoni, sono apprezzate. Se vengono raggiunti degli abissi, ci sono anche dei picchi, un rischio probabilmente che era stato già valutato; dunque, un passo avanti e un passo indietro, un album di passaggio.

Tracce consigliate: Less Than, Bonfire.