Purple Noon è un thriller degli anni ’60 tratto dal romanzo Il talento di Mr. Ripley di Patricia Highsmith, divenuto poi l’omonimo e più noto film con Gwyneth Paltrow, Matt Damon e Jude Law. Una romanza lussuriosa tra amore e invidia; intrighi e bugie, ambientata nelle coste italiane del dopoguerra. Ed è proprio il Mediterraneo de La Dolce Vita l’ambientazione scelta anche per Purple Noon di Washed Out: un album passionale ispirato alla pellicola, ma che non finisce nel sangue.

Quello di Ernest Green (nel frattempo tornato sotto Sub Pop) è infatti un omaggio ai territori isolani ed ai loro colori che vengono utilizzati dal regista di questo melodramma come sfondo ideale per raccontare gli amori ormai consumati dal tempo. Ma non c’è conflitto. Viceversa, a Washed Out non si sgualcisce mai la camicetta neanche nel momento più disperato ed è in grado di mantenere un equilibrio rassegnato – a tratti irreale – senza scomporsi.

Stilisticamente siamo lontani dai synth sporchi di High Times e dalla chillwave del bellissimo esordio Within Without, e lo siamo ancora di più (per fortuna) dalle sperimentazioni di tutto quello che ne è seguito dopo. VHS, nostalgia analogica, filtri pre-IG sono finiti nel cestino, almeno nell’estetica, perché un certo substrato si è sedimentato talmente a fondo che diviene difficile sostenere che sia stato abbandonato del tutto. E l’apertura con Too Late ne è per certi versi una conferma: dopo i primi secondi pensi di aver già capito tutto di questo album, tanto che potrebbe benissimo essere un brano del 2011.

Ma sebbene non possa essere definito un lavoro del tutto sperimentale, Purple Noon riesce ugualmente a offrire tratti di novità ed influenze diverse rispetto al passato che dimostrano un rinnovato grado maturazione di Green, che ormai sa muoversi in questo territorio come un veterano con decorazioni e titoli onorifici sulla divisa. Le linee si sono fatte più morbide ed accessibili e dove non richiamano i suoi precedenti lavori, sembrano uscite da una raccolta di b-sides di Sade. Nell’utptempo di brani come Face Up, Paralyzed, Game of Chance e Leave You Behind, ci sono le le sere di mezza estate, incompiute ed intrise di nostalgia. Certo, le liriche non sono mai state il punto forte di Green che utilizza versi semplici ed immediati. Ad esempio in Face Up:

You don’t have to lie
We just need to say goodbye
It’s about time
The truth comes out
The truth comes out

Ma dove non arrivano le parole ci pensano le atmosfere baleariche ed incantate a dare qualche coltellata alla schiena, proprio mentre il paesaggio che ci circonda dovrebbe, al contrario, lasciare un senso di pace. E la coltellata finale la sferra la closing track Haunt, la traccia più buia dell’album. Ombrelloni chiusi e vento tiepido, segno di un autunno imminente. La varietà, però, finisce qui. Il resto dell’album infatti soffre di una certa monotonia e staticità che incidono nella valutazione complessiva anche se gli si mettono su i pantaloni di lino.

Con il suo ultimo album Washed Out esplora la forma più che la sostanza ed è la perfetta sintesi della sua copertina: essenziale, lineare e raffinato. Pur suonando benissimo e scivolando traccia dopo traccia senza interferenze, Purple Noon non coinvolge del tutto, forse perché è più dedicato alla riflessione che all’azione. Ci puoi lavorare, lo puoi tenere in diffusione nella casa delle vacanze, ma difficilmente ne diventerà la sua colonna sonora. L’estate, così come i thriller, richiedono dei colpi di scena per non passare del tutto inosservati.

Tracce consigliate: Too Late, Face Up, Haunt