Sono le dieci e mezza di sera e, come molti di noi, sono già pronto per andare a letto. Le strade fuori sono silenziose, il vento fresco di fine aprile muove appena i lampioni cotti da un sole che, piano piano, sta iniziando a farsi sempre più caldo. Da quanto va avanti questa cosa del coprifuoco? Sembra insieme una vita e un secondo, e in realtà sono sei mesi, che dopotutto non sono nemmeno così pochi, no? Quando inizi ad andare a letto ogni sera alle dieci il tempo diventa un concetto molto relativo. So a malapena in che anno siamo, quanti ne abbiamo oggi, che giorno della settimana è.

Quello che so per certo è che oggi non è un sabato come tutti gli altri.

Il merito va tutto all’esordio self titled dei Vergine, duo synthpop che esce da un sottobosco di sonorità nazionali sempre più divertenti, diversificate e interessanti. Tra la schiera dei grandi nomi è bello vedere come si stanno facendo strada progetti originali e freschi, capaci di farci sorridere, ballare e immaginare (ricordare?) scene sensuali, cristalline, brillanti. Recentemente ho parlato del secondo disco dei Tersø e i Vergine si accodano al loro stesso filone (voce femminile – ritmica elettronica), finora relativamente inesplorato nella nostra penisola. L’ascolto è rapidissimo, appena otto tracce per ventitré minuti risicati, ma alla fine dell’ascolto Vergine riesce a fare una delle cose più belle e difficile che un disco possa fare: farci premere replay.

I pezzi sono un pastiche di influenze, crasi sulla carta assurde ma in pratica estremamente funzionali: Vergine sono i Crystal Castles che collaborano con Il Genio; Gin Lemon potrebbe venire tranquillamente dalla colonna sonora di Drive se fosse stata curata da Cosmo; Fragole mischia le sonorità dei The Knife a quelle di Paola & Chiara; Amore Mio sono i Soft Cell che condividono il palco con la Rettore; Fiore Giallo e Chiamami Valentina sono la punta di diamante di un disco che vi farà compagnia per tutta l’estate, garantito.

Onestamente potrei anche parlarvi dei momenti meno coinvolgenti di VERGINE, che ha leggeri cali di ritmo (Caro Caro e Viole), ma nell’ambito di un ascolto così veloce e soprattutto così coinvolgente sono nei perdonabilissimi e anzi apprezzabili. VERGINE non è un disco scritto per essere perfetto, ed è proprio nel suo essere una creatura imperfetta che brilla.

I Vergine non solo rendono sabati sera come questo sera un po’ più dolci con la loro effervescenza, ma continuano un discorso elettropop tutto italiano nel quale non speravo più, e che sono felicissimo di accogliere a braccia aperte. Ora scusatemi, ma torno a ballare Fiore Giallo in loop, e spero vi uniate presto a me.

Viva l’elettropop, viva ballare tutti insieme, viva i Vergine.