Esiste una sottile, ma robusta corda emotiva che i Touché Amoré sanno maneggiare con estrema cura, in modo minuzioso e attento, trovandosi sempre in perfetto equilibrio.

Arriva così Stage Four, uno step fondamentale nella carriera dei losangelini, un album che ha diversi piani di lettura. C’è innanzitutto una prospettiva più letterale, che li vede alla prova con il quarto capitolo della loro carriera discografica iniziata con l’hardcore melodico fulmineo di “…To the Beat of a Dead Horse”. Un’altra chiave di lettura è data dall’orizzonte fornito dalla nuova etichetta discografica: Stage Four è infatti la prima prova del quintetto su Epitaph dopo il breakout album Parting The Sea Between Brightness and Me e la naturale evoluzione Is Survived By, pubblicati entrambi su Deathwish. Insomma, da Jacob Bannon a Brett Gurewitz: da un’icona all’altra.

Infine c’è un’interpretazione più personale, più intima e più forte di tutte. Stage Four è la fase terminale del cancro che ha tolto la vita alla madre di Jeremy Bolm, il cantante dei Touché Amoré. Prende così vita un concept autobiografico dove quell’equilibrio emotivo che menzionavo in apertura crolla e si rivive, passo dopo passo, la sofferenza introspettiva dell’aver perso la propria madre a 69 anni.

L’artwork di Anthony Gerace ci fornisce il giusto indizio per entrare nel mood di “Stage Four”: un mosaico frammentario di ricordi e oggetti dal sapore familiare che funzionano a mò di interruttore per riaccendere la memoria di Jeremy. Si inizia con Flowers and You e, canzone dopo canzone, si ripercorrono gli ultimi anni di vita trascorsi insieme alla madre Sandra. Ma non solo. Stage Four e la sua atmosfera dolcemente malinconica raccontano il lutto e la sua elaborazione, i rimpianti più feroci e i ricordi più dolci che vivono in Bolm. È una geografia mentale in cui il dolore si culla. Una narrazione instancabile che rende impossibile scindere “Stage Four” dal valore delle parole raccontate. Sembra di vedere Jeremy lì, sul divano di casa, a scorrere l’album fotografico di famiglia e a interrogarsi sui motivi che spinsero la madre sulla West Coast. Magari con gli occhi lucidi per la commozione nel rivivere una serata in cui la madre stette male. Magari con il groppo in gola nel catapultarsi nuovamente durante il funerale nella natia Norfolk. Un’amalgama di sentimenti contraddittori che colpiscono nella loro semplicità:

like a wave, like the rapture something you love is gone, something you love is gone. It leaves you fractured.

L’impalcatura è perfetta e il sound risponde presente. I Touché Amoré hanno sempre avuto un gusto per la melodia che qui trova finalmente il suo coronamento. La fragilità emotiva di Bolm è adeguatamente sostenuta dall’intreccio delle chitarre di Nick Steinhardt e Clayton Stevens; ora alle prese con un interludio introspettivo, ora pronte a trovare quel riff in grado di far esplodere le corde vocali di Jeremy. Stage Four è il compimento di un’evoluzione che li ha visti mutare forma, da una creatura tutta istinto a una più riflessiva e ragionata. Con fluidità si passa quindi da escalation caotiche ad arpeggi eterei, in un leit motiv che sembra esser dettato dallo stato d’animo di Bolm.

Questo è sì vero, ma lo è altrettanto anche il fatto che Elliot Babin sia uno dei batteristi più incisivi della scena e in un batter di ciglia riesce a trasformare l’anima di ogni pezzo – ascoltare Water Damage come prova.  Il tiro punk rock è vibrante e la produzione di Brad Wood è la più esplosiva che i Touché Amoré abbiano mai avuto. Se a questo si aggiungono novità come le clean vocal o un cantato simil-baritonale fortemente debitore all’infatuazione di Bolm per Matt Berninger (i Touché Amoré hanno realizzato una cover di Available, ndr.) e Leonard Cohen, si chiude il cerchio di Stage Four.

Dubbi, paure e rimorsi sono i fantasmi quotidiani con cui il singer dei Touché Amoré deve convivere, ma il climax conclusivo sognante di Skyscraper regala un sorriso e una speranza. New York City è lo sfondo e riprende vita l’ultima vacanza fatta insieme alla madre. Le parole finali, urlate fino a soffocare la voce soffusa di Julien Baker, sembrano un mantra esorcizzante:

New York City. It’s all yours. It’s yours. You live there. Under the lights.

Eloquente lo è anche il finale di un disco così intenso. Negli ultimi secondi di registrazione sentiamo un messaggio vocale della madre che dice a Jeremy di star per andare da CVS a prendere dei farmaci: “Bye, bye”.

Un piccolo simbolo, per un grande lavoro.

Tracce consigliate: Rapture, Benediction e Water Damage