“It took 4 years to create, what seemed like, a huge pile of ideas and then sift though them to find the nuggets that form this album. An album essentially made from a collection of first or second takes of shared moments, gently edited down and embellished into the songs here.”

Così presentano i Tindersticks il loro ultimo album, The Waiting Room, sul sito ufficiale.

Uno dei primi risultati su Google correlati a questo nuovo lavoro è il brano We Are Dreamers!; ottimo biglietto da visita bisogna ammettere. La musica quasi passa in secondo piano, ci sono accenni strumentali ma mai una melodia veramente compiuta e corale, le chitarre eccheggiano lontane e distorte. Tutto l’interesse è focalizzato sulle due voci, Stuart Staples e Jehnny Beth delle Savages. Il video, va detto, ci mette del suo e l’insieme è assolutamente angoscioso: su una palette virata al violaceo vediamo passare colossali mezzi da lavoro in cava a fianco di una ragazza in vestaglia e stivali, inerme, con in mano una pala che non viene usata.
L’altro singolo, Hey Lucinda, non è da meno. Se questa volta il video è una innocua carrellata di negozietti e vetrine sui due lati della medesima strada, è la storia dietro la canzone che colpisce. La collaborazione qui è con Lhasa de Sela: il problema è che la cantante, poco conosciuta in Europa ma con un buon seguito nel nuovo continente, è sparita prematuramente nel 2010. La voce che compare è quella di una ormai vecchia registrazione, non ritenuta buona da Staples per quanto riguarda la propria interpretazione e finora accantonata. Riprenderla e lavorarvi di nuovo dopo anni e anni ha certamente portato con sé un bagaglio emotivo non da poco.
Hey Lucinda è la melodia che potrebbe uscire da un carillon; ripetitiva sì ma deliziosamente innocente.

In realtà ad aprire l’ascolto non c’è We Are Dreamers ma la malinconica – poteva essere altrimenti? – armonica di Follow Me, brano strumentale e minimalista, arricchito appena dai tocchi leggeri di un armonio. Sempre strumentale è Fear of Emptiness, sempre con gli stessi strumenti in primo piano ma più saltellante, meno elegante. Di nuovo in Planting Holes, tragica sonatina per piano Wurlitzer e pioggia che batte aritmicamente su qualche oggetto metallico non meglio definito.
Tra i momenti più classicamente rock, dove si avverte sul serio una direzione melodica che risponda al genere, troviamo Were We Once Lovers? Niente assoli roboanti ovviamente ma qualche passo in più rispetto alla delicata monotonia che pervade altri brani, la chitarra trova un ruolo più centrale e quasi da protagonista. O ancora How He Entered o la conclusiva Like Only Lovers Can; trattansi sempre e comunque di ballate morbide, dalla rara leggerezza e con un cantato che tanto spesso arriva a ricordare il parlato piuttosto che il cantato (si sconfina pienamente nella recitazione parlata di un testo nella prima delle due tracce citate).

Difficile, anche se può sembrare strano, difficile dare un giudizio in finale. È un buon album? Sicuramente sì. È un album da ascoltare 365 giorni all’anno? Spero per voi di no. Mi sembra, come sempre con i Tindersticks e pochi altri ottimi gruppi, di ravvisare il bisogno di essere di un certo umore per apprezzarlo fino in fondo. Non è nemmeno l’idea di dire “Adesso mi deprimo un po’ però ascolto ottima musica” a muovere verso l’ascolto, semmai la presa di coscienza di non essere su picchi emotivi altissimi; da qui ci si può muovere verso il tasto play una volta inserito The Waiting Room nello stereo. Sembra una considerazione banale o campata per aria ma ci trovo più verità di quanto si riesca ad esprimere a parole; i Tindersticks non sono poser della tristezza, per dirla con una battuta.
Non dico che in questi casi il voto sia un pro forma ma quasi che può oscillare verso lidi ben più elevati di quello che gli assegno io se siete nel periodo giusto per apprezzarlo; magari è sbagliato per tutto il resto però questo album può trovare il suo spazio.

Che questi bravi ragazzi fossero di altra profondità rispetto a molti loro concorrenti, se ne sono per fortuna accorti in parecchi: se ne è accorta, tanto per esulare un momento dall’ambito critica e pubblico tradizionale, la direzione dell’In Flanders Fields Museum – magnifico museo sul tema della prima guerra mondiale a Ieper, più nota come Ypres – che ormai anni orsono gli ha affidato il progetto di una colonna sonora per le sale. Se ne è accorta la regista francese Claire Denis che li ha voluti per sei volte come compositori delle colonne sonore per i suoi film.
Se, per puro caso, non ve ne foste ancora accorti voi che leggete, sappiate che siete sempre in tempo a rimediare all’errore.

Tracce consigliate: We Are Dreamers!Like Only Lovers Can