Tight-Eye-forget-me-not-dlso

Non so se Giulia Bonometti abbia mai letto Come diventare se stessi, trascrizione di un’intensa chiacchierata che coinvolse David Lipsky e un David Foster Wallace all’apice del suo successo letterario, ma quel che è certo è che ha fatto suo il messaggio del libro, smentendo eventuali pregiudizi sulla musica nostrana: la musica di Tight Eye è calda, avvolgente, elegante, accarezza angoli remoti della memoria con un’intensità vibrante. Difficile stabilire i confini tra la persona Giulia Bonometti e l’artista Tight Eye: tra i testi e la musica vi è assoluta compenetrazione, per stessa ammissione della cantante “Io sono quello che canto e che scrivo”.

Allora come descrivere Forget-Me-Not, attenendosi a riferimenti musicali? Ascoltando (e riascoltando) i dieci brani che compongono l’album, scorgiamo le influenze della cantante che vanno dai Beach Boys, a Bowie e gli Zombies, tutto riletto con una voce particolarissima e piena di sfaccettature, vero centro nevralgico in questo caleidoscopio di sonorità vintage. Non è facile vivisezionare questo lavoro, non è facile analizzare singolarmente le tracce, condensate da una patina malinconica quanto retrò; al contempo è semplice immedesimarsi con i contenuti: l’impossibilità di accettare la propria contemporaneità (Sad World), di ricominciare daccapo (Sweet Melancholy), di viaggiare con la mente verso mete più consone alle proprie attitudini e aspettative (Paradise).

Il gusto per il barocco di questo debut album, che prende le distanze volutamente dai trend attuali e da tutto ciò che appare “vendibile” e “contemporaneo”, potrà rappresentare a prima vista un ostacolo per chi non è avvezzo a determinate sonorità, ma vale la pena dedicare del tempo a Forget-Me-Not la cui cifra, nomen omen, è personalissima, azzarderei unica; parafrasando il testo di Sad World “I feel different from the others, this is my only value”.

Tracce consigliate: Orbiter, Paradise