Alzi la manina chi aspettava un nuovo album in studio di Tiësto. Benissimo, se davvero esistete, andatevene fuori subito.
Reduci dalla bellissima (ugh) esperienza del lontano 2009 speravamo che il dj più ricco e più pagato al mondo avesse deciso, per nostra gioia, di lasciar perdere le produzioni e di darsi tempo pieno alla carriera di star della consolle, impilando i milioni di $$$ sotto il materasso. E invece con la stessa tempestività di un chiodo in mezzo alla strada eccoci a recensire l’incidente chiamato A Town Called Paradise.
Provate ad indovinare di cosa stiamo parlando, a livello di musicalità. Ma ovviamente EDM ruffianissima. Non che il nostro sia mai stato estraneo alle sonorità commerciali; mi pare di ricordare che buona parte della fanbase trance lo abbia in antipatia da molto, molto tempo. Ma dal già citato Kaleidoscope la maschera è caduta definitivamente e il nome di Tiësto si colloca in perfetta coerenza al fianco di quel dj francese con il naso tipicamente semitico e altri loschi figuri che non nomineremo per pietà.

Wow che figata, il primo singolo Red Lights è un tripudio di originalità: c’è la traccia vocale cortesemente fornita da un orsacchiottone che risponde al nome di Michel Zitron, il quale però canta con una tonalità quasi femminea un po’ sospetta. Il video fa il furbino con quelle generiche suggestioni e voglie di libertà/divertimento/spensieratezza/scopare estive vendute qui un tanto al chilo da due ragazze che sculettano in shorts di jeans. Complimenti anche per il favoloso pompino ai marchi Puma e Jägermeister.
Peraltro chi fa capolino tra i remixer ufficiali? Afrojack; è un cerchio che si chiude. È da scommettere che il brano sia già finito nelle playlist estive dei diggei che comprano i loro pezzi su Zippyshare.
A Town… musicalmente è tutto uguale, parli del singolo apripista e hai già parlato di tutto, la biechezza della più mediocre musica da discoteca che cannibalizza se stessa, costruita solo per far fare fist pumping al pubblico. Cambia solo l’ugola prestata ai tre minuti di cassa in quattro quarti o la sporadica collaborazione in fase di composizione. Si alternano alle collaborazioni le Icona Pop, lo storico Christian Burns, Hardwell per poi passare ai featuring indie ah ah ah: se cinque anni fa Tiësto era riuscito a trovare il coraggio per sottoporre su un suo brano alla brava, bella e dolce Emily Haines, stavolta è il turno sadomasochista di Ladyhawke e degli sbadigliosi Ou Est Le Swimming Pool (redivivi? Che culo).

Non c’è niente di buono in un questo album: finirà in ripetizione continua negli stereo dei vocalist con il microfono personalizzato che ascoltandolo si preparano a galvanizzare le folle di questa lunga estate caldissima. Solo presentandovi in disco veramente tanto ubry le tracce di A Town Called Paradise potrebbero dirvi qualcosa di più che bleah. In ogni altro caso la risposta è un fermo no, grazie.

Traccia consigliata: Ma neanche per scherzo