I These New Puritans fanno il salto nel mondo dei grandi con il terzo album. Parliamo di una delle band indie rock, per usare una definizione che sicuramente sta stretta al gruppo di Jack Barnett, più convincenti degli ultimi anni, forse l’unica con l’appeal adatto a fare da spalla ai concerti della multiforme creatura di quel mostro sacro che è David Tibet, i Current 93. E forse è anche grazie al decennale esempio del pilastro della musica industrial che i nostri hanno appreso e messo brillantemente in pratica una lezione non scontata: evolversi rimanendo fedeli a se stessi.

Beat Pyramid e Hidden sono due album affascinanti e complessi, autentiche boccate d’aria fresca in un panorama fin troppo spesso asfissiante. Se il primo parto, scandalosamente sottovalutato, già mostrava uno stile e un’eleganza compositiva non comuni e influenze eterodosse quali il Wu-Tang Clan e Richard David James aka Aphex Twin, Hidden partiva da una base simile per muoversi ben oltre, con l’aiuto di un ensemble di ottoni e legni, tamburi tradizionali giapponesi, cori infantili e collaborazioni eccellenti (Heather Marlatt dei Salem) mantenendo inalterato il sottobosco di beat elettronici dark, taglienti, inquietanti, stratificati e immediati al tempo stesso. Improbabile riuscire a cacciare dalla testa We Want War o Attack Music.

Per Field of Reeds i TNPS mettono da parte l’irruenza e l’aggressività degli esordi, lasciano a casa una buona dose dell’elettronicità spinta e a tratti marziale che li aveva caratterizzati, quasi si dimenticano di cosa sia il rock e con l’aiuto di due vasti ensemble, lo Stargaze Ensemble e il Synergy Vocal Ensemble, si trasformano in una intrigante presenza a metà tra il post-rock più vicino all’ambient e la musica neoclassica. Quello che rimane intatto è la tensione che si respira tra le 9 tracce: molto difficile considerare Fields of Reeds come una serie di brani pop scollegati fra di loro. Qualcuno azzarderebbe l’ascolto del Tristano e Isotta di Wagner escludendone arbitrariamente delle parti?

This Guy’s in Love With You, con il suo pianoforte e gli spezzati e distorti vocalizzi femminili apre le danze in sordina per lasciare poi spazio alla succitata Fragment Two, forse la cosa più simile a quello a cui ci avevano abituato i vecchi TNPS: la traccia è guidata essenzialmente da pianoforte e batteria con la sommessa voce di mister Barnett a mormorare un enigmatico testo che introduce il narratore della storia di Fields of Reeds, della disperata ricerca dell’amata, dell’incombente sperato incontro su una misteriosa isola lasciando enigmatici, sintetici riferimenti ai successivi brani. Il perfezionismo della vera mente dietro la band, Jack Barnett, si esprime al meglio in questo terzo album: è aneddoto ormai arcinoto che la traccia di batteria di Fragment Two, suonata dal fratello George, sia stata ripetuta per 76 volte prima di arrivare a quella ritenuta perfetta.
L’incontro sull’isola non avviene in The Light in Your Name, dove la voce di Barnett si incrocia per due volte con quella Elisa Rodrigues, cantante portoghese di fado: impossibile non cogliere la fortissima natura classica e neo-classica di The Light in Your Name, brano essenzialmente suonato dall’ancora presente pianoforte ed eterei archi. La successiva V (Island Song) con i suoi nove minuti di durata è il vero centro focale dell’album. Gli elementi principali rimangono quelli summenzionati, un pianoforte dall’incedere iniziale stavolta quasi sgraziato e incerto guida Barnett nella descrizione dell’isola che assume connotati onirici, e di se stesso ora come un faro che guidi la sua compagna all’isola, ora come un’ostetrica, il cui compito è portare alla luce un bambino. La nebulosità del brano non viene rischiarata dall’arrivo della batteria nè dai cori che si aggiungono.
And the way to get there. is going round in circles, recita il testo di V: in Spiral, il brano seguente, tra riferimenti alla mitologia greca e alla guerra delle Falkland, il narratore non può che assistere impotente ad una pioggia di missili Exocet che spietati piovono dal cielo e distruggono la nave dell’amata davanti ai suoi stessi occhi. La tragedia si consuma in un’atmosfera se possibile ancora più allucinata di quanto finora visto, con un coro di bambini che canta una nenia impietosa di fronte all’ammutolito narratore.
Spiral è il punto di svolta, che conduce alla coppia tematicamente inscindibile Organ Eternal e Nothing Else. Il funereo testo di Organ Eternal occupa ben poca parte del brano, che come Fragment Two si avvicina molto ai Puritans di vecchio corso con un sintetizzatore ripetitivo dall’inizio alla fine e una musicalità generale altisonante che forse male si sposa con la tematica del brano. In Nothing Else, quasi otto minuti di canzone e testo ancora ridotto all’osso ritorna a farsi sentire la voce di Elisa Rodrigues, accompagnata anche dal basso profondo Andrew Peacock. Appaiono e scompaiono varie sezioni degli ensemble classici partecipanti all’album, talvolta senza che risulti veramente chiaro dove si cerchi di andare a parare. Pur rimanendo una composizione di alto livello, Nothing Else è forse il brano meno centrato di Field of Reeds, insieme alla seguente Dreams che utilizza una formula simile ma interpretata dalla sola voce della Rodrigues, e raggiunta poco per volta e per pochi secondi dal pianoforte, dal contrabbasso, dal clarinetto, dallo xilofono fino ad una conclusione comune.
Dopo una seconda metà particolarmente disperata e oscura, la chiusura dell’album affidata alla titletrack lascia aperta o quantomeno socchiusa una porta su un futuro positivo per i due svetnurati, pur se probabilmente in un mondo non terreno. Un’altra traccia in larghissima parte strumentale per la cui creazione è stato perfino registrato in studio il battito d’ali di un falco di Harris. È il narratore a concludere la canzone e l’album implorando Sail to me, Sail to me.

Al primo ascolto sarei stato pronto a scrivere una recensione stroncante e a dirmi deluso dalla nuova direzione dei TNPS. Non commettete il mio stesso errore di impazienza, dedicatevi pienamente a Field of Reeds, fatevi cullare dalla musica, godete della bellezza e complessità dei testi. Lasciate che il bardo Jack Barrett e i suoi compagni di viaggio vi conducano all’isola.

Recommended tracks: The Light in Your Name, V (Island Song), Fields of Reeds,