Se è vero che di solito le cose belle bisogna attenderle, è utile precisare che sono trascorsi quattro lunghissimi anni da quando i There Will Be Fireworks hanno pubblicato l’omonimo debut album There Will Be FireworksQuattro anni, sì, durante i quali la band di Glasgow non è che abbia fatto molto, a parte un EP (Because, Because – 2011). Quattro anni che vanno da un debut album ricchissimo di novità, che ti lascia a bocca aperta fin dal primo ascolto, con brani di un’intensità unica, fino al disco di cui parliamo oggi, uscito, per l’appunto, proprio quattro anni dopo.

La ricetta è sempre la stessa: dolcezza e quiete che di punto in bianco vengono rimpiazzate da un’incontrollabile esplosione di suoni. E così come tale ricetta funzionava nel precedente disco, funziona anche in questo; e come se funziona. The Dark, Dark Bright, diciamolo da subito, è un più che degno successore di There Will Be Fireworks e ciò è evidente già dalla opening track del disco, And Our Hearts Did Beatche tanto caratterialmente, quanto strutturalmente, ricorda quella fantastica Colombian Fireworks, che apriva però il disco precedente. Con un’unica – ma fondamentale – differenza: che mentre in Colombian Fireworks il vocal sample che fungeva da intro lasciava subito spazio a un quasi confusionario mix di suoni appartenente ai canoni del post-rock, in And Our Hearts Did Beat l’intro si affievolisce con la comparsa di una chitarra acustica accompagnata dalla semplice quanto piacevole voce di Nicholas McManus, inconfondibile quanto il suo accento, che invece non lascia spazio ad alcuna confusione. E non lascia spazio nemmeno alle percussioni, almeno fino alla seconda traccia, RiverEd è proprio questo, con molta probabilità, il momento più alto di The Dark, Dark Bright: River, un pezzo carismatico e pretenzioso, energico e sentito, messo lì, subito, all’inizio del disco, vorrà pur significare qualcosa. E significa che la band è finalmente matura, che è consapevole delle proprie potenzialità e della propria capacità di maneggiare suoni e voci, partorendo un brano  in cui, se anche ci provaste, non trovereste difetti. Un brano che per intensità e vigore ricorda It’s Thunder and It’s Lightning dei connazionali We Were Promised Jetpacks, gruppo da cui è evidente che i TWBF abbiano preso spunto. Un semplice spunto, nulla più, proprio perché il loro essere così variegati e ricchi di sfaccettature, rende i TWBF un gruppo essenzialmente unico, quasi camaleontico.
Ed ecco che quel radicato bisogno di fare solo post-rock, che forse li renderebbe statici e noiosi col passare del tempo, viene messo da parte e viene dato spazio all’inventiva e all’originalità. Saltano gli schemi del debut album e finalmente i There Will Be Fireworks cambiano faccia, abbracciando una pluralità di suoni che forse prima non gli appartenevano. Roots, Lay Me Down e Your House Was Aglow, ad esempio, perdono quasi totalmente i suoni di River e del precedente disco, tanto che a tal proposito si potrebbe parlare di semplice folk; non per questo, però, il disco perde di credibilità o valore. Anzi, tutto ciò non fa altro che testimoniare la duttilità e l’originalità della band, che proprio con Lay Me Down, grazie a un folk-pop scandito da un delicato arpeggio e da una piacevolissima batteria, sfoggia a tutti la sua maturità.
Youngblood, invece, con il suo intro, evoca strani e gradevoli ricordi e raffronti, tanto da farmi pensare inevitabilmente a Two, indimenticabile brano presente in Hospice degli Antlers. Intro a parte, c’è poco da confrontare: anche in questo caso, i There Will Be Fireworks tornano al loro schema tipico e sempre efficace, che prevede proprio quella esplosione di suoni di cui sopra, ripreso poi ancora una volta nel brano successivo, Ash Wednesday, che evoca ancora un altro ricordo – paragone tanto azzardato quanto verosimile. E, in questo caso, si parla di Sigur Rós, che in fatto di ”esplosione di suoni” sono con molta probabilità i maestri. In effetti, riflettendoci, The Dark, Dark Bright è caratterizzato proprio da questo continuo oscillare tra questo post-rock legato al disco d’esordio, rivisitato e risistemato, e questo folk che risulta per nulla banale e che, anzi, conferisce originalità e personalità al disco, rendendo, in definitiva, piuttosto difficile fare un qualsiasi raffronto con qualsiasi altro disco.

The Dark, Dark Bright prosegue verso la conclusione con Elder And Oak, già anticipata qualche tempo fa dalla band, che è null’altro che un pezzo ok, perfettamente coerente con il lavoro della band.
Si conclude, però, con The Good Days, brano piuttosto malinconico e nostalgico e in effetti non potrebbe essere altrimenti, leggendo il titolo del brano. Un brano che suona un po’ come una ninna nanna o, se vogliamo, come un ”non preoccupatevi, torneremo presto”. E lì si ha la stessa sensazione che generalmente si prova quando finisce un telefilm, quando non sai bene come reagire, se essere felice o se stare giù, se sperare in una nuova stagione di alto livello o se goderti quella appena conclusa.

È proprio vero, comunque. Le cose belle bisogna sempre aspettarle un po’. I fuochi d’artificio si sono fatti attendere, ma sentite qui che spettacolo.

Tracce consigliate: River, Lay Me Down, Youngblood