“Last year I did all the politicin’
This year I’m all focused on the vision

Kiss Land, il precedente album di Abel Tesfaye aka The Weeknd, arrivava dopo la partecipazione a Take Care, disco di Drake, dopo un tour negli Stati Uniti e la presenza in Europa con la partecipazione a festival come il Primavera, dopo i dischi di platino per Trilogy, e lo consacrava come next big thing dell’alt-R&B, per quanto questa descrizione faccia schifo.
Beauty Behind The Madness arriva dopo un feat con Ariana Grande, dopo la partecipazione alla colonna sonora di 50 sfumature di grigio (Earned It) e un pezzo (Can’t Feel My Face) in rotazione continua su tutte le radio, dopo l’annuncio della presenza nel disco dei featuring di Ed Sheeran e Lana del ReyBBTM consacra insomma The Weeknd come una autentica popstar.
La domanda è se sia stato il grande pubblico ad accorgersi di lui o lui ad andargli incontro; la risposta ovviamente comprende entrambe le cose, ma in che misura?

Buona parte del disco è stato fatto con la collaborazione di Max Martin (un tipo che ha prodotto nella sua vita una quantità spropositata di hit commerciali, dai Backstreet Boys a Katy Perry) e il suo team di produttori/scrittori, ma quando questi hanno presentato il materiale ad Abel lui ha preferito rifiutarlo ed è ripartito da zero, riscrivendo tutto. E se i due singoli già citati presentano una versione un po’ annacquata di quelli che sono i soliti temi (sì, ok, I Can’t Feel My Face parla di cocaina, ma non così esplicitamente come ci si potrebbe aspettare da lui) e i suoni usati rendono il paragone con Michael Jackson praticamente scontato, pezzi come Tell Your Friends – “I’m the nigga with the hair, singing ’bout popping pills, fucking bitches, Living life so trill“, frase che racchiude una carriera in effetti,”Pussy on the house, everybody fucking” – e Often – “Girl I do this often, make the pussy pop and do it how I want it” – non si nascondono dietro giri di parole; la sintesi migliore delle due cose la troviamo in The Hills, una hit (difficile definirla in altro modo) che potrebbe venire tranquillamente da uno dei mixtape di Trilogy, “Drugs started feelin’ like it’s decaf“, ma con un drop di basso e urla da mani nei capelli. Ci sono altri pezzi che sono decisamente ottimi, non solo per un disco così mainstream, in assoluto, e sono quelli in cui The Weeknd resta più fedele al suo essere schietto e “dark”; diciamo che le prime sei tracce rientrano in questa categoria, dopodiché la componente Michael Jackson prende il sopravvento. Non che ci sia nulla di sbagliato in questo, ma per chi è abituato a suoni più cupi e liriche meno dolci il cambiamento potrebbe risultare difficile da accettare, soprattutto se metti Ed Sheeran in un pezzo chiamato Dark Times, la cosa non può funzionare. Molto meglio il resto, As You Are, In The Night, persino Prisoner con Lana Del Rey (magari qualche bpm in più avrebbe aiutato) sono canticchiabilissime e non meritano di essere saltate, ma è impossibile non notare la differenza di livello, altissimo nella prima parte del disco.

Quanto questo finisca per influenzare il giudizio complessivo sull’album è evidente, ma lo è anche il fatto che non si finisce ad occupare l’intero podio della classifica Billboard senza compromessi, e The Weeknd non ha iniziato a vestirsi di rosa o leccare martelli: ha fatto il suo, facendolo piacere anche a tutti gli altri.

Tracce consigliate: The Hills, Tell Your Friends