I nostri tedescotti Notwist tornano con un lavoro completo dopo quasi 6 anni di penombra, e lo fanno con Close To The Glass, un disco elaborato e non per tutte le orecchie.
C’è da dire che dal loro esordio hanno praticamente provato tutto in ambito musicale, oltre alle droghe.
Dall’hardcore al punk, dal post-rock al jazz misto elettronica sperimentale fino ad approdare all’indietronica. Dopo tutte questi giri ci si aspettava una conferma che per alcuni aspetti arriva ma che per altri lascia un po’ a desiderare.

Si parte con Signals e gli arpeggiatori prendono il sopravvento accogliendo delay e drum machine senza troppe storie, una melodia vocale piuttosto statica scandisce il passare del tempo per circa metà del brano lasciando posto a deliri elettronici fino al termine; uno di quei pezzi che appena lo senti corri come Mazzone sotto la curva dell’Atalanta, bello.
La titletrack sfianca (lasciamo a voi il compito di interpretare), la parte percussiva e soprattutto melodica martellano incessantemente quasi a volerti demolire, le voci doppiate lasciano spazio a parti di chitarra acustica prevalentemente strumming e a piccoli innesti elettrici (definirli filtrati è dire niente) che però non restituiscono dinamica e non danno respiro.
Kong e 7-Hour-Drive sono forse le uniche due tracce all’interno del disco che fanno prendere bene la vita, la prima spensierata con i suoi organetti, coretti, falsetti (tutto quello che finisce per –etti) e uno snare che frusta regolare, la seconda perforante e incisiva.
Ma diciamoci la verità, a noi Notwist non ce ne frega un cazzo che voi vi prendiate bene (noi facciamo musica di qualità con i nostri pippolotti analogici ndr) ed ecco che vi schiaffiamo lì Into Another Tune nella quale vi sorbirete altrettanti marchingegni, che per carità hanno un loro perché ma a lungo andare un po’ tramortiscono se presentati in questo modo.
Tralasciando per un attimo la nostra consueta ironia ci teniamo a precisare che la qualità delle composizioni è senz’altro elevata, i “pischelli” ci sanno fare, d’altronde ce l’hanno sempre dimostrato e mentre ragioniamo su questo ecco che arriva Casino a dare una ventata di acustico senza troppe pretese.
From one wrong place to the next  sono quasi tre minuti che durano un’eternità, The Fifth Quarter of the Globe un’intermezzo di cinquanta secondi in reverse ad introdurre la parte che potrebbe essere definita più cervellotica.
Run Run Run è un pezzone ad esempio, giro melodico semplice ed efficace, non molto ricca di strumenti, fredda, distaccata in pieno stile Notwist.
Si riprendono in braccio le chitarre acustiche con Steppin’ in e si ripresentano quegli archi che tanto ci erano piaciuti nel precedente The Devil, You + Me per arrivare ad un interessante ma estenuante strumentale, Lineri.
A chiudere c’è They Follow Me  che in verità non si riesce ad inquadrare bene, lascia aperte troppe strade e sembra essere il riassunto inconsapevole dell’intero lavoro.

In conclusione siamo certi che Markus Acher e soci abbiano ancora moltissimo da dire, l’unico problema in questo caso è la forma.
(Ora parlo da fan) Non vi potete limitare ad appallottolare lì dei suononi grandiosi, no? Mi avete fatto aspettare un sacco di tempo, onestamente da voi mi sarei aspettato di meglio ragazzi.

Traccia consigliata: Signals