Dite la verità. Vi mancavano le guitar band con il The davanti al nome, giusto? Quelle di cui a parlarne ora non sembra sia mai stato interessato nessuno, ma che si nascondono (con vergogna di molti) nelle posizioni medio-alte di tante classifiche personali su Last.fm.
Per tutti quelli che rifuggono da ogni ipocrisia e che ancora oggi si concedono ascolti del genere, non sono anni facili: poche novità, e di qualità che a essere gentili possiamo definire “altalenante”.

Una delle uscite considerate più interessanti in questo periodo, almeno nel genere, è il secondo album di questi The Districts, direttamente da Lilitz, Pensylvania (non proprio New York: ma l’abbiamo detto che sono tempi grami, no?).
Di certo non un album per chi ama riempirsi le orecchie (e la bocca) con suoni nuovi, mai sentiti o semplicemente alla moda. Già a partire da 4th and Roebling, che apre l’album: un incrocio spudorato fra un pezzo degli Arctic Monkeys e degli Strokes, da cui prendono anche la voce con effetto scatoletta tanto cara a Julian Casablancas. Detta così sembra una stroncatura. Invece no, il pezzo è orecchiabile e funziona.
In più, i The Districts dimostrano di potercela fare anche con sonorità diverse rispetto a quelle appena citate. Certo, tornano pezzi che fanno subito pensare altri protagonisti di quel periodo, come Heavy Begs (ciao Mando Diao, mi ricordo ancora di voi), ma in altri sono invece gruppi come i Black Keys, o anche i Kings of Leon a venire in mente: due esempi in questo senso sono Peaches, oppure Chlorine.
La seconda parte dell’album, poi, porta con sé altre sorprese: il blues acustico di Suburban Smell, gli 8 minuti della rumorosa e dilatata Young Blood, la conclusiva ballata lo-fi 6 AM.

Non è un album imperdibile, e non finirà in nessuna classifica di fine anno: ma se siete fra quelli che non hanno cancellato chitarre e gusti di un passato non tanto remoto dal proprio iPod, questi 45 minuti sapranno farsi rispettare.

Tracce consigliate: 4th and Roebling