Taylor Swift è diventata grande. Ha smesso di esibire quello stupendo chitarrone jumbo coperto di glitter argentato, di saltare lo steccato e cavalcare senza sella come Jesse James. Si veste da hipster. Forse le affissioni di Lana Del Rey for H&M sono arrivate fino in Tennessee. O forse follawa Chiara Ferragni. Boh. Fatto sta che in questo quarto album ritroviamo una Taylor Swift piuttosto inconsueta.

L’album si chiama Red perché, come lei stessa ha dichiarato, tratta di emozioni forti; delle gelosie, i cavalier, l’arme, gli amori, che l’artista ha potuto sperimentare nei due anni passati dalla scorsa release Speak Now. Per questo ha pensato di accompagnare il lancio dell’album a quello di una linea di scarpe omonima, penso. O forse perché follawa la Ferragni come ipotizzato sopra. Sono confuso.

Bene passiamo alla musica: Red si apre su State Of Grace con un batteria probabilmente composta da soli tom, accompagnata da una chitarrina distorta che segue la voce che blablabla ci spiega bla di come blabla ci si sente bla quando si è innamorati. Come hanno ineccepibilmente arguito i critici sordi di Rolling Stone, definendola “U2-style epic with reverb-drenched guitars“, la canzone non c’entra un cazzo con il folk e con tutto il resto dell’album, e neanche con Taylor Swift. A dirla tutta, neanche con gli U2, pensa un po’. Segue la title track Red, che, grazie all’arpeggio di banjo in apertura,  subito ci fa sentire in Alabama casa dolce casa, e ci fa capire di non aver messo su per baglio l’album di qualcun altro; forse degli U2, oppure di Django Reihardt, oppure di nessuno dei due. Per farsi perdonare il ritornello comunque poco ortodosso di Red, Taylor inizia la terza traccia Treacherous con una di quelle melodie folkettine da redneck che -indiscrezioni rivelano- fanno ascoltare ad Al-Queida in fase di addestramento, per convincerti che ci sono un sacco di ottimi motivi per odiare gli Stati Uniti, specialmente dal Kentucky in giù. Superata la fortissima tentazione di lanciarmi con un boeing 747 contro il partenone di Nashville , dopo Treacherous sono passato alla successiva, I Knew You Were Trouble. Una chitarrina in pulito molto Jonas Brothers ci porta ancora una volta molto lontano dal tracciato della country music. La scoreggia di synth del ritornello, assieme alla vocina distorta della Swift (“Troubleee, troubleeee, troubleeeee..”), costituisce la rottura definitiva. Che cazzo succede?

Proseguendo, dopo l’ascolto di 22 e del singolone We Are Never Ever Getting Back Together, possiamo dare finalmente riposta all’attanagliante interrogativo sorto dall’ascolto delle cinque tracce precedenti, unitamente al repentino cambio di look: “It feels like a perfect night to dress up like hipsters”; “And you, will hide away and find your piece of mind with some indie record that’s much cooler than mine”. Piuttosto chiaro. Gli hipster soon arrivati anche in Tennesee, e probabilmente l’ex della Swift era uno di loro. Forse Joe Jonas. Bah. Il pezzo seguente Stay Stay Stay, con un mandolino bluegrass in apertura, un arrangiamento molto più ortosdosso ed un testo che guccinianamente ribadisce per l’intera durata del brano lo stesso concetto (staystaystaystaystaystaystaystay) dà appena il tempo di riprendersi dal trauma causato dalle brutte immagini evocate dalla scoperta di prima (hipsters con i camperos? Trattori a scatto fisso?), che subito sbabam: arriva The Last Time, featuring con Gary Lightbody degli Snow Patrol. Taylor ci riprova. Vuole essere indie. Archi a non finire, arrangiamenti meglio del solito, niente strumenti bluegrass.

“…Sigrora Swift, sua figlia si applica, ma purtroppo..”. Insomma, così.

Il disco prosegue, e, dopo altri sei pezzi fra cui un feat con Ed Sheeran, si conclude senza troppe sorprese. Un disco che sarebbe fin troppo facile da stroncare. Un disco di Taylor Swift. Taylor Swift che vuole far l’hipster. Che metro di valutazione dobbiamo usare? Se rimaniamo dentro ai canoni del settore, questo è un gran bell’album; ben arrangiato, ben suonato e prodotto in modo adeguato. Se la Swift fosse brutta , o almeno un po’ più vecchia, alcuni avrebbero gridato al miracolo. Se solo si chiamasse Alison Krauss. Detto questo, rapportando Red ad un panorama musicale un pochino più ampio, non possiamo fare a meno di constatare che di sicuro non è un bel disco. Non compratelo. Non scaricatelo. Ok, che Voto gli diamo?

“Signora Swift, sua figlia si impegna, però…”

Bisogna tuttavia riconoscere quanto di dovuto a Taylor Swift; bisogna, proprio come si fa con i più zucconi della classe, cercare di incentivarla con un voto nè gratificante nè demotivante, senza dimenticare che, in fin dei conti, ci stiamo misurando con un caso speciale. In quest’ album la Swift fa veramente di tutto per essere presa sul serio, condannata in modo triste ma irrevocabile a dover aspettare la vecchia, o almeno a dover ingrassare a dismisura, per poter finalmente raggiungere il suo obbiettivo.  Ma non farlo. Taylor, dai. Rimani a figa e continua a vestirti like hipsters. A noi piaci così.