Bastano pochi secondi di ascolto per capire che il nuovo album dello Studio Murena non ha nulla in comune con la scena musicale italiana. Si chiama come loro, Studio Murena, ed è arrivato il momento di parlarne.

Il perimetro lo disegnano i caporali “<<“ e “>>”, messi in tracklist non per fare cinema, ma per delimitare i confini di questo secondo lavoro carico di groove d’oltreoceano e rime conscious e che ha tutta l’aria di essere un nuovo inizio per lo studio. Nel 2018, infatti, era uscito Crunchy Bites, un album basato sul jazz e sull’elettronica in stile Autechre, ma a dettare il cambio di direzione rispetto al passato c’è il fatto che quello era completamente strumentale. Studio Murena, invece, parte con barre di MC Carma, il nuovo arrivato nella band:

Non si può dire quello che siamo
Solo quello che non siete.

Pacca di batteria e si decolla.

Nelle sue liriche mescola nuova e vecchia scuola senza perdere in personalità: nella forma (anche) Massimo Pericolo, nel merito (anche) al Colle der Fomento. La sua storia, fatta di tanti nomi come NH3 Crew, Deaf Kaki Chumpy, è nella strada, ma non quella degli stereotipi, belle fighe e pistole, piuttosto quella oltre la circonvallazione di chi scrive con la confusione nella testa sempre un passo avanti alle certezze. Matita e cartoncino, come nell’artwork e come si fa sugli autobus o sui treni lerci, vedi Password, uno dei pezzi più personali e cupi con un breakbeat centrale che cappotta la sala prove: “Ma non so bene chi sono e tantomeno chi saròPerciò annoto sopra il foglio e adesso passi un’altra notte“. Sul finire dell’album, invece, il rap di Carma si fa ultra serrato, come in Eclissi, dove si unisce alle progressioni jazz totalmente fuori controllo.

Oltre alle novità ci sono le conferme. Studio Murena è un album che musicalmente mantiene fede alla tradizione del complesso milanese, uscito dal Conservatorio, ma che usa le regole di base ed una tecnica maniacale per entrare in confidenza con gli strumenti e, di conseguenza, per muoversi in assoluta libertà. E lo fa ispirandosi alle persone (Mos Def, Robert Glasper, BadbadNotGood, John Coltrane – citato in Marmo e nella stessa Password) e alle geografie di Chicago, di Compton (di Kendrick Lamar), ma anche a quella britannica di nuova generazione di Youssef Dayes che in particolare travolge tutto in Utonian e a quella italiana, perché un feat. col primo Ghemon sarebbe un bel crossover da mettere in piedi.

Nell’album si trovano tutte le componenti che oggi rendono figo e appetibile il jazz anche per le nuove generazioni che si spaventano a vedere tutti questi strumenti sul palco o che si scoglionano con le atmosfere fumose d’altri tempi. Lo Studio Murena porta, infatti, il nu-jazz direttamente in una nuova dimensione, meno solenne ma ugualmente ricercata e che in questo sophomore si è fatta molto più tenebrosa e meno rassicurante. Purtroppo siamo ancora lontani dai canoni italiani, ma forse questo è un aspetto che lo rende ancora più interessante.

Studio Murena è un album dalle tante anime, ma da un’unica attitude, quella dei contrapposti che si attraggono. A metà tra l’accademia delle scuole e la musica contemporanea ci conferma che il classico ed il nuovo sanno stare bene insieme se sai come farlo. Come l’antiquariato ed il moderno, come un poster di Tyler, The Creator accanto ad uno scrittoio del 1800 in stile Luigi XVI.

Tracce consigliate: Utonian, Password, Eclissi