Qualcosa nell’aria sta cambiando. James Blake, con la sua purità studentesca post-everything ha cristallizzato tutti i luoghi comuni sulla dubstep e su tutte le camicie che può indossare; SBTRKT l’ha addolcita, rendendola piaciona e orecchiabile anche ai non addetti ai lavori. Thom Yorke è riuscito a far suo l’inesplorabile, aggiungendo l’imprevedibilità e la cura dell’artista. Stubborn Heart è il progetto di due dj/producer, Luca Santucci e Ben Fitzgerald (di cui non si sa in realtà chi fa cosa e, soprattutto, chi mette la voce), cresciuti musicalmente, anche loro, nei meandri londinesi. Pubblicano il loro esordio sulla lunga distanza con la One Little Indian (che non si è fermata solo a Bjork), con la consapevolezza di essere parte di una scena che, senza alcun tipo di paraocchi, ingloba e manifesta ogni tipo di contaminazione, disegnando mosaici sonori che trasmettono a raffica cariche emotive che solo il pop negli anni è riuscito a comunicare. Per ciò che riguarda le influenze, a detta dei due si passa da: Northern soul anni 60 (Stubborn Heart è il titolo di una canzone di questo genere), synth-pop anni 80, techno, house e garage anni 90. E’ facile diffidare da queste premesse, ma siamo di fronte ad un lavoro che va al di là di ogni canone stilistico, e che dimostra che ogni band può produrre un suo King of Limbs. Nelle 10 tracce di Stubborn Heart ci sono dei meccanismi che incombono e spiazzano chi crede che il soul non può avere altre forme. Cupo e allo stesso tempo raffinato, sensuale e introverso in brani strappalacrime come It’s Not That Easy. Elettronico e sampledelico come in Starting Block, dove un violino calma la tensione che c’è nell’aria. Penetrate potrebbe essere uscito da Kid A, per le sue forti affinità di pensiero, carico di suggestioni cinematografiche e volto alla sperimentazione della pop-song. La promiscuità di suoni viene calibrata con pause e silenzi, come in Interpol, con i suoi beat acquatici immersi in atmosfere Rnb, e quel synth acido paragonabile ad un assolo di chitarra.
L’amore e le sue conseguenze. Enfatizzato da un timbro avvolgente che rende spirituale un pezzo come Head On, marcia slow-core con forti richiami a quella fetta di dubstep riadattata dopo gli anni zero. Si, quel tono di voce che riecheggia ovunque è ciò che rende Need Someone la Lotus Flower del disco, con il suo  crescere organico e jazzistico che nessun suono a macchina può imitare; “future-pop” scandito da un piano che qui entra nelle vesti di supereroe.
Se volete conoscere uno dei più grandi spettacoli dopo Sandy, siete sulla strada giusta.