Che bello tornare dalle vacanze e ascoltare un disco così.
E dire che gli Spoon sono in giro da una ventina d’anni e hanno all’attivo otto album in studio; They Want My Soul è inoltre, come ci suggerisce il titolo riferito a quel mondo là fuori che è cambiato – e di molto – dall’esordio del gruppo, il lavoro più intimista e meditativo della band. Nonostante queste premesse il risultato è di una freschezza che spiazza.
Il gruppo di Austin non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno e fa quel che gli riesce meglio, rimanendo all’altezza dei brillanti lavori del passato.
E proprio dal loro passato gli Spoon pescano idee che risultano funzionare alla grande anche con 10 o più anni sulle spalle: durante l’ascolto pare infatti di rivivere la sorpresa di Kill The Moonlight, apice e gemma brillantissima della loro carriera nonché pietra miliare dell’indie-rock anni 00. Anche in They Want My Soul i loop minimali vengono piano piano sovrapposti e inseriti in una trama perfetta, mai troppo spoglia, mai troppo ridondante. Britt Daniel poi spacca ancora tutto con la sua voce roca, un timbro unico e riconoscibile tra mille.
La semplicità di composizione (ribadisco, assolutamente non un elemento negativo, anzi, la vera forza e firma della band) viene affiancata da una produzione magistrale che fa suonare delle “semplici” chitarre e delle “semplici” batterie come un qualcosa in più. A questo aggiungete synth e linee di basso che fungono da collante di tutto il lavoro e il gioco è fatto.
È impossibile cliccare play e non iniziare a muovere la testa a tempo sulle note di Rent I Pay, davvero non ce la si fa neanche dopo un allenamento zen. Vogliamo parlare delle melodie delle sei-corde di Rainy Taxi? O dei ritornelli di Do You (fitta al cuore) e di Outlier? No, non parliamone, ascoltate e basta. E Knock Knock Knock, quello snare filtratissimo e la chitarra acustica frustata, o ancora la chitarrona acida della titletrack. I Just Don’t Understand è poi un piccolo gioiellino dall’anacronistico richiamo cinematografico: in un locale dei sobborghi di Brooklyn un nero suona swing al pianoforte, la femme fatale di turno guarda languida il bellimbusto al bancone che sorseggia whiskey, lui cede per l’ennesima volta alle tentazioni pur consapevole che il suo amore sincero non verrà mai ricambiato. New York Kiss è infine la migliore conclusione che ci potessimo aspettare: sintetizzatori e marimba in primo piano, basso corposo, ritornello e atmosfera incredibili.

Perché scendere a compromessi con chi vuole la nostra anima? Gli Spoon gridano un gran vaffanculo e ci regalano un altro disco da ascoltare e riascoltare, ricordando a tutti che non c’è moda che tenga: Britt Daniel e soci hanno le palle, molte cartucce da sparare, e un’ottima mira.

Tracce consigliate: Rent I Pay, New York Kiss, I Just Don’t Understand