Dopo un acerbo esordio garage e un Dye It Blonde dal retrogusto glam 70s – abbracciato dall’hype un po’ ovunque, gli Smith Westerns, all’alba della terza uscita discografica, provano a raggiungere quella maturità che un po’ tutti i giovani musicisti cercano.
In realtà non c’è molto in più da dire sulla band dopo questo Soft Will: un altro disco piacevole, semplice, che scorre via liscio ma che in fondo, ad ascolto terminato, lascia giusto un paio di singoli su cui tornare saltuariamente (come accadde per Weekend e Imagine Pt. 3 nel predecessore).
L’atmosfera risulta comunque meno intrisa di distorsioni e generalmente tende a fondere quei fraseggi chitarristici tanto 70s al pop dei 60s, ovviamente dominati dai Beatles. Un ruolo cruciale è qui affidato a sintetizzatori e basso che, con le sempre protagoniste chitarre, creano belle e ariose melodie ben arrangiate, su cui le voci, spesso corali, si posano delicatamente.
Come già accennato non mancano i “singoloni” da presa diretta (la bella Idol e 3am Spiritual), accompagnati da altri pezzi tutto sommato positivi (Glossed, Best Friend) e ballad (White Oath). Troviamo però anche deboli filler (Fool Proof, Cheer Up, Only Natural) e plagi spudorati strumentali di floydiana memoria (XXIII, la quale passerà alla storia come la Great Gig In The Sky dei poveri – giuro che ci sono un paio di passaggi identici).
Soft Will è uno di quei dischi che si lasciano ascoltare senza infamia e senza lode, ma che non riescono a entusiasmare. Nonostante i buoni pezzi sopra citati accostati a un’ottima produzione (alle volte maschera di lacune e di momenti poco entusiasmanti), i suoni sono sempre simili tra loro e la sfacciata componente retro fa apparire tutto come già sentito, sia nella traccia precedente, sia 50 anni fa.
Ciò che manca agli Smith Westerns è forse un tocco personale e riconoscibile, ciò che molto spesso coincide con una consacrazione definitiva; ma se in fondo si accontentano di sopravvivere nell’industria musicale, per ora questo può bastare.
Tracce consigliate: Idol
