Prima di rendermi conto di chi fossero questi Slow Club, sinceramente, ci ho messo un po’.
Il nome non mi diceva nulla, le foto nemmeno. Una volta arrivato su last.fm però mi sono reso conto di avere già fatto la loro conoscenza qualche anno fa con il debut Yeah So, album che reputai nella media delle produzioni del genere, piacevole, carino ma non un album da tramandare ai posteri.
Dal 2009 ad oggi c’è stato un secondo album, Paradise, e infine questo Complete Surrender. Se ho faticato a riconoscere il duo è stato forse anche a causa di un cambio d’immagine non estremo ma comunque abbastanza rilevante, soprattutto nelle foto promozionali. Complete Surrender si presenta nei toni minimi del bianco e nero, la copertina del singolo omonimo riprende l’idea di quella dell’album e la rivede in una chiave un po’ più voyeuse, giocando sulla breve apparenza di nudità.
Esticazzi direte voi. E invece no, perché questo nuovo immaginario, che accantona le giacchette di jeans e le camicie a quadrettoni, è funzionale ad una netta evoluzione: gli Slow Club non sono diventati un gruppo revival new wave ma si arricchiscono bensì di un armamentario da big band. I due giovani di belle promesse che fino ad ora si erano barcamenati fra di loro tra chitarra, basso, batteria e piano, sono adesso dotati di un accompagnamento d’archi, ottoni e un organo.

La rivoluzione arriva senza farsi attendere subito con i primi singoli, già tre lanciati sul mercato in rapida successione: Complete Surrender, Suffering You, Suffering Me e The Pieces. Non saranno diventati una band new wave, questo me lo ripeto da solo, ma in Complete Surrender non riesco a non sentire degli echi new romantic e pop anni 80. Non che ci sia nulla di male: il brano risulta un capolavoro in miniatura, non sganciato al 100% da echi indie pop-rock ma comunque ballabile, trascinante. Suffering You, Suffering Me invece inizia gettando un ponte verso il jazz: la progressione la trasforma invece in un altro tributo alla musica di tre decenni fa, chiarissimo sul finale, in questo caso avvicinandosi parecchio ad una Whitney Houston (con le intenzioni, sia chiaro, e fatti i debiti distinguo vocali). E per mettere la ciliegina sulla torta di questi singoli, non sfugge all’impeto citazionistico neanche The Pieces, questa volta più nel’estetica che in altro. Per il video viene messa in piedi una cover band dei KISS che si esibisce, nel suo piccolo, con le stesse boutade da circo della band originale. La canzone è un pop non particolarmente originale che però gode del supporto di due sassofoni più tromba.

Per fortuna i tre singoli non esauriscono il novero delle canzoni interessanti: a dire il vero non riesco a capire se la power ballad The Queen’s Nose sia una cagata pazzesca, stucchevole e zuccherosa fino al diabete o un piccolo colpo di genio volutamente eccessivo, fuori dalle righe, anacronistico. In ogni caso la sezione strumentale fa il suo sporco lavoro costruendo un crescendo tanto stereotipato quanto pur sempre esplosivo, Rebecca Taylor in veste di panterona fa lo stesso e il tutto cammina pericolosamente sul filo del ridicolo, è vero. Ma gli Slow Club riescono a superare la prova pur lasciando l’ascoltatore con un sopracciglio inarcato più dall’indecisione che dallo stupore. Ai posteri l’ardua sentenza.
Meno anthemica ma non meno devota a modelli melodrammatici è l’altra ballatona Mine to Love: di questa coppia gli Europe sarebbero fieri.
C’è tempo per una breve deviazione solo acustica e solo al maschile, Paraguay and Panama che però lascia il tempo che trova. Meglio le altrettanto intimiste Dependable People and Things That I’m Sure Of e Number One, sorelle più intelligenti e più stimolanti della succitata Paraguay…

Una grossa, grassa operazione nostalgia? Probabilmente sì (ma il revival ottantiano è ancora di moda? Domanda seria). Un brutto album? Per niente. Qua e là scappa la mano, o meglio il pedale sull’acceleratore della Delorean. Però non solo non è la stereotipata prova indie lo-fi twee depressina che temevo di ascoltare e anzi, regala più di un momento di sano divertimento alle orecchie e al cuore se non al cervello.

Traccia consigliata: Complete Surrender.