The Center Won’t Hold ha fatto parlare di sé già prima di essere pubblicato. Dopo l’uscita dei primi due singoli, la batterista storica Janet Weiss ha infatti annunciato la sua decisione di lasciare la band a causa della nuova direzione intrapresa sotto la produzione di Annie Clark (St. Vincent), e su quest’ultima sono ricadute le colpe di un sound, a giudicare dai primi estratti, troppo simile al suo. Ma due singoli non fanno un album, e in molti aspettavamo di ricrederci a breve; purtroppo The Center Won’t Hold risulta snaturato da quel che è il trio Sleater-Kinney, e per ragioni che non potremmo attribuire esclusivamente alla produzione.

E non si tratta di un cambio di genere, perché quello delle Sleater-Kinney è un percorso che per nove album le ha sempre portate ad un’evoluzione organica. Dagli esordi più riot grrrl culminati in Call the Doctor all’entrata rivoluzionaria di  Weiss alla batteria in Dig Me Out, dalla voce politica di One Beat alla potenza irrefrenabile di The Woods, la chiave della band è sempre stata nel dinamismo tra le parti: le voci di Carrie Brownstein e Corin Tucker che si rincorrono, quasi combattendosi per poi aggrapparsi l’una all’altra; il loro modo di far funzionare due chitarre senza un basso; il talento di Weiss non solo nel riempire gli spazi ma di essere le ossa di un sound che, per nove album, è rimasto inconfondibilmente marchiato Sleater-Kinney.

In The Center Won’t Hold spicca, tra le varie direzioni intraprese, un sound più pop, decisamente più vicino a quello della stessa St. Vincent; questo non sarebbe un problema se nell’esecuzione di pezzi come LOVE o The Future Is Here si fosse investito nei punti forti della band come nucleo unico: il risultato invece è un suono appiattito, più mansueto, che le stesse musiciste sembrano calcare a fatica e in modo incerto, con melodie vocali spesso fuori corda, e che sui talenti irrefrenabili delle tre suona manieristico e forzato, pieno di momenti in cui una delle batteriste migliori del rock contemporaneo potrebbe essere facilmente rimpiazzata da una drum machine. Al di là della produzione e degli arrangiamenti, l’altro problema di The Center Won’t Hold è che non sembra un album scritto da un nucleo. Da Dig Me Out in poi era raro trovare una canzone che non fosse stata scritta da Brownstein e Tucker insieme – sia come autrici e che come cantanti, insieme sono sempre state una forza della natura. Invece in The Center Won’t Hold le due si dividono i compiti, e sono rari i momenti in cui le voci si intrecciano, e mai si rincorrono o combattono, ma al massimo si danno docilmente una mano (The Dog / The Body).

Nonostante ciò The Center Won’t Hold si redime in diversi momenti: l’apertura eponima del disco ripaga l’attesa con un’esplosione degna della band, RUINS gioca con l’inquietudine attraverso le distorsioni, mentre in The Dog / The Body e Restless la forma sembra rilassarsi per dare più spazio al contenuto. Dopotutto, se non fosse un disco delle Sleater-Kinney, The Center Won’t Hold potrebbe essere un bel disco, ma nelle corde del trio (ora duo) di Washington risulta a tratti goffo, a tratti spersonalizzato, brillante in alcuni momenti, ma essenzialmente non omogeneo.

Traccia consigliata: RUINS