Il lato triste del progetto proprio non l’ho percepito.
So il lato triste delle mie scarpe, del mio portafogli, del mio giaccone bohème, della cera nei miei occhiali, del lucido sui pantaloni, del mio camion arredato.
Ma del progetto proprio no, no di certo.
I Sadside Project sono un duo romano che di sicuro non è triste, né tantomeno lo è il relativo progetto; secondo me i Sadside Project si divertono, e se hanno un lato triste ce l’avranno alla sera in camera loro non lo so, certo non ce l’hanno messo nel disco.
State bene in guardia pargoli dai movimenti magico-culturali, Winter Whales War non è un disco triste.

Winter Whales War è stato registrato a Roma, suonato in presa diretta da Gianluca Danaro e Domenico Migliaccio, bellocci tutt’e due, rispettivamente alla voce, chitarra e batteria.
Poi, attorno a loro, quasi come se fosse una festa particolare o un evento campestre, si vanno ad aggiungere tutta una serie di personaggi noti e meno noti, amici loro o amici di qualcun altro, che poi i nomi che uno si ricorda sono essenzialmente due: Roberta Sammarelli dei Verdena e Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, gli altri non li conoscete.
Winter Whales War è frutto di un lavoro fine, le cose giuste, affacciato in un panorama d’idee e soluzioni già calpestato da tempo ma non per questo da considerarsi demodé o post-grunge.
Sebbene la linea del disco alle volte si sbilanci un po’, diciamo che i Sadside Project suonano un blues-rock pentatonico suonato veloce col bicordo pazzo di big muff.
Tutta questa pazzia di chitarre elettriche saltanti sopra una batteria percossa col legno viene contestualizzata in un ambiente marinaresco con le navi e i marinai sbronzi dopo la tempesta che ti indicano le onde grasse; che ci fa piacere sicuramente, ma da un ascoltatore medio come uno qualsiasi degli abitanti di via A.Bellelli a Villarotta in provincia di Reggio Emilia, a meno che non glielo si dica, è difficile aspettarsi che se ne possa accorgere.

Domenico e Gianluca lo definiscono un disco corale, e almeno in parte bisogna dargli ragione, giusto per spiegare il grande afflusso di persone chiamate alla realizzazione del disco; e credo che le si possa contare una ad una in momenti come “la fine di This is Halloween” e in My Favorite Color e anche da qualche altra parte, grandi cori di poppa dicono alcuni.
Anche se l’Italia ci piace così bella com’è, il disco è cantato in inglese per intero e la musica che ci viene in mente ascoltandolo è tutta straniera per intero, d’oltreoceano proprio; ma per un qualche motivo astratto o concreto non percepito, si sente che i ragazzi sono italiani e proprio non me lo spiego.

Recommended tracks: The Same Old Story, Edward Teach also Known as Blackbeard.