Mi ricordo che ai primissimi anni del liceo, quando ancora non esistevano le accezioni di hipster di indi di rlvnt o di alternative, la gente si divideva in due macro-categorie spesso identificate dalla fede politica. Se eri di sinistra, cioè comunista, ascoltavi la musica rock, la musica punk e così via, e ai tempi alcuni gruppi del sud andavano fortissimo. Sì, neomelodica a parte, il sud ha sfornato grandi gruppi su cui tutti abbiamo ballato, dai salentini Caparezza e Sud Sound System, ai partenopei 99 Posse. Bene, con tutti i cambiamenti che ci sono stati nella musica, nessuno può negare quanto i 99 Posse fossero un gruppo coi controcazzi (per l’epoca), un po’ i cugini del sud dei sabaudi Linea 77; la loro musica era vera denuncia sociale, i loro testi da Rigurgito antifascista Ripetutamente sono stati cantati da migliaia e migliaia di ragazzi, i loro ideali erano puri, non erano prodotti dalla Sony e loro erano veramente incazzati per una questione meridionale che ancora sembra non aver trovato una vera e propria soluzione. E poi avevano quella figa di Meg.

Tutta questa filippica iniziale serve ad innalzare un minimo il tenore dell’articolo, dato che l’oggetto vero e proprio è Rocco Hunt, un tizio di cui parlare senza prendere denunce è davvero difficile. Il nostro scugnizzo Rocco raggiunge la notorietà pochi mesi fa vincendo quella categoria di Sanremo che un tempo si chiamava Sanremo giovani, ma ora si chiama Nuove proposte e grazie tanto della proposta. Rocco Hunt è figlio della peggior tradizione rap italiana, quella dei finti gangsta da strapazzo che negli ultimi dieci anni hanno influito massivamente nella vendita di canotte NBA, più di quanto abbia fatto Kobe Bryant, gente tipo Club Dogo ed Emis Killa. Unito a questa pessima influenza, gangsta Hunt sforna un album in cui appaiono featuring imprevedibili e inquietanti: passi Clementino, ma che c’incastrano Noyz Narcos, Tiromancino ed Enzo Avitabile? Nu sacc’ davvero. L’album, ‘A Verità, è lunghissimo: 18 tracce per un’ora e spiccioli di straz ascolto, tra canzoni incomprensibili ai più dato il dialetto napoletano e altre in italiano vero e proprio. A completare il quadro ci si mette la produzione della Sony, che toglie molta della credibilità di un ragazzo che forse inizialmente voleva davvero fare della denuncia sociale, lasciando intendere che siamo di fronte ad un prodotto creato ad hoc in studio, un po’ come hanno fatto negli States con Justin Bieber per intendersi.

Ok, è vero, non c’è bisogno di essere sempre spocchiosi, e qualcosa di Rocco Hunt si può cercare di salvarlo. Ad esempio, a differenza dei citati gangsta italioti, il suo flow è decisamente migliore. Le basi sono discutibili, si varia da brutture come quella dell’opening Senza Chances ad altre decisamente migliori come quella di Devo Parlare ft Noyz Narcos. Il pezzo forte è ovviamente quello presentato a Sanremo, Nu juorno buono un brano decisamente orecchiabile, funzionale e anche lontano dalla linea che compare in tutto l’album. Abbiamo mosso tutti la testa a tempo la volta che è passata alla radio, non mentiamo a noi stessi; e poi funziona decisamente meglio di una qualsiasi canzone neomelodica nel suo intento. Le tracce assolutamente senza senso sono molte, ma su tutte spicca Credi con Eros Ramazzotti, una rivisitazione del suo vecchio successo; maro’ c’agg’ fatt’ Eros?

Diciamocelo, in mezzo a tutta quest’accozzaglia avremmo veramente apprezzato una collaborazione con l’altro grande napoletano del momento, aka Giuseppe Sapio, ma per ora siamo destinati solo a sognare. Meno male che Rocco ci lascia sperare con la sua closing track Nun’è fernut’

Traccia consigliata: Devo Parlare