I Quilt sono evidentemente nati nel tempo e nel posto sbagliato. Basta guardarli in foto e giudicare dalle apparenze: questi due capelloni secchi secchi e una ragazza minuta con dei grandi occhi verdi, insieme a suonare in un gruppo che cosa potrebbero produrre se non un tiepido folk pop psichedelico dalle venature anni sessanta? Per nostra gioia, la buona notizia è che lo fanno benissimo. Essere originari del North East degli Stati Uniti ed essere attivi negli anni ’10 del XXI secolo non li ha fermati dal produrre un ottimo primo album omonimo da fare invidia ai vari colleghi californiani, più morfologicamente e storicamente predisposti al genere.
Nelle parole del chitarrista Shane ButlerThe whole debut record was like our graduate school […] We knew how to play music, but we were goofy, weird art-school people in a band. It was awesome.” Pur se Held in Splendor riprende la ricetta e il profumo del precedente Quilt (album nato poco più che tra i banchi di scuola) la torta di mele che i tre ragazzi di Boston ci portano questa volta ha lo stesso piacevole sapore della prima volta. Eppure non si può non notare un generale raffinamento del suono, più pulizia, un approccio più diretto alla composizione.

Held in Splendor, come il suo predecessore vede una varietà di strumenti ad animare i suoi tredici brani, tra cui il sax, il violoncello, la steel guitar, il violino e l’immancabile organetto Farfisa. Arctic Shark, singolo portabandiera nato, ci introduce all’ascolto con la voce flemmatica ma intrigante di Anna Fox Rochinski.
La signorina pur spartendosi il microfono coi colleghi rimane, a mio avviso, la protagonista vocale del disco: da segnalare la semplice e magnifica Talking Trains, canzone di puro folk.
Per A Mirror rallentamenti, ripartenze e sfuriate quasi e dico quasi da piccolissimo, pacifico pogo col sorriso sulle labbra.
Non starò qui a ripetere quanto i Quilt si siano abbeverati alla sorgente dei Byrds e dei Jefferson Airplane: piuttosto sono da notarsi certe influenze quasi prog come su Secondary Swan o Mountain Mary, brani che smentiscono in parte l’idea di una diminuzione delle sonorità caotiche del passato e danno quasi vita a jam sessions registrate. A mettere la parola fine I Sleep in Nature che con i suoi cinque minuti di divertenti cambi di stile non lascia spazio alla noia nemmeno sulle note conclusive dell’album.

Un disco più primaverile che estivo, fatto di melodie cullanti e fischettabili, che fa tesoro di lezioni scritte cinquant’anni fa ma non ne scimmiotta nemmeno una, piuttosto trasporta quei sound nella scena moderna. Held in Splendor può essere l’album da ascoltare nel primo giorno di mare, ma anche per una gita per le campagne: tenetelo in serbo per quando il tempo atmosferico sarà più adatto al mood.

Recommended tracks: Arctic Shark, Tie Up the Tides.