Quella che segue è una recensione che è stato difficile scrivere e leggendola probabilmente vi chiederete perché una recensione tanto negativa sia accompagnata da un voto discretamente alto. Se conoscete il lavoro dei Preoccupations (prima conosciuti come Viet Cong) non è difficile trovare una risposta: Viet Cong, l’album di debutto del quartetto post-punk canadese, era un lavoro così solido che è bastato a consacrarli come una delle band più talentuose della scena nordamericana. Un debutto soffocante e claustrofobico che poco lasciava all’immaginazione, un sound incalzante e terribilmente distintivo in un mare di band post-punk spesso scambiate le une con le altre. Nessun bisogno di giustificare, dunque, il motivo per cui Preoccupations, il secondo disco eponimo della band, fosse uno dei lavori più attesi dell’autunno se non dell’anno, un hype accresciuto dai singoli che l’hanno anticipato. Purtroppo, però, Preoccupations è un lavoro che non soddisfa tutte le aspettative: se da un lato il nostro giudizio resta positivo, dall’altro resta naturale aspettarsi qualcosa di più da una band che ha dimostrato in un solo album come si fa un gran disco.

Preoccupations si apre con Anxiety, che è anche il primo singolo pubblicato sotto il nuovo nome; la voce di Matt Flegel più centrale e meno spesso sormontata dagli strumenti, i synth più presenti e le influenze anni ’80 più spiccate sono alcuni dei tratti che già dal primo brano caratterizzano il cambio di nome e di sonorità della band; cambio che continua con i tappeti di suono di stampo shoegaze di Memory, altro grande estratto che vede Dan Boeckner dei Wolf Parade alla voce, brano in cui ritroviamo la capacità dei Preoccupations di far evolvere il sound nell’arco di 11 minuti, in maniera simile a quel che accadeva in Death nell’album precedente. Memory, con una lunga coda drone, chiude la prima parte dell’album, di cui fanno parte altri due brani – Monotony e Zodiac – dal forte stampo post-punk soprattutto nelle percussioni, ma non particolarmente memorabili. Lo stesso accade con Degraded, che apre la seconda parte dell’album laddove forse ci si aspettava un brano più aggressivo per chiudere la lunga coda drone di Memory. Quel che accomuna questi tre brani è un attaccamento fedele al post-punk più classico, in cui la band riesce a rimanere originale negli arrangiamenti ma limitata nella composizione; a riprova di ciò si può citare la bravura di Mike Wallace alle pelli, uno dei punti focali di Viet Cong ma che emerge in poche occasioni in Preoccupations – una tra queste è Stimulation, brano dal ritmo incalzante che più di tutti ricorda il precedente lavoro.

Un’altra critica che si può estendere al quartetto canadese è che in un album i cui temi sono così tanto espliciti e accuratamente sviluppati da renderlo un concept – già i titoli dei brani, tutti composti da una sola parola, disegnano un bel quadro – ci si sarebbe aspettati forse una maggiore coesione all’interno del disco nonché un ordine più razionale fra i pezzi; sebbene la scelta di rendere Memory uno spartiacque sia più che sensata, le aspettative di trovare un sound diverso nella seconda parte del disco vengono deluse, mentre ancora più confusionaria per l’ascoltatore è la scelta di mettere l’uno accanto all’altro due brani da un minuto (Sense, che fa da intermezzo, e Forbidden, che sembra troncarsi sul più bello).

Dispiace avere tanto da ridire su un album dal quale ci si aspettava moltissimo e che appaga parzialmente, ma è anche normale che sia una conseguenza dell’hype creatosi attorno alla band; si parla pur sempre di un bell’album che dal vivo farà la sua porca figura, dove di certo non figurano nemmeno lontanamente pezzi “brutti”, in cui i Preoccupations attingono da molti altri campi ma conservano il sound familiare del debutto. È ovviamente scontato ricordare che non stiamo dicendo che avremmo voluto o ci saremmo aspettati un album uguale al primo, perché in quel caso staremmo qui seduti a fare un altro tipo di critica; eppure le influenze che riecheggiano nell’album, soprattutto nei riferimenti alla new wave, non sembrano essere sviluppate al meglio se non in maniera derivativa, rischiando di contere il talento – indiscusso – della band. Il risultato diventa poco convincente soprattutto se guardiamo indietro alle tematiche del concept, alle quali la produzione di alcuni pezzi sembra indebolire il profilo, e di conseguenza il significato. A tratti, Preoccupations è un grandissimo album, in cui gli elementi noise, shoegaze e drone si sposano con un post-punk che sfugge ad una definizione unilaterale, mentre in alcuni altri Preoccupations è solo un bell’album post-punk. E purtroppo non è il miglior album post-punk del 2016.

Tracce consigliate: Memory, Anxiety