Se qualche giorno fa mi aveste chiesto chi sono i Prawn, probabilmente avrei pensato ad una marca di detersivi. Ma non è di detersivi che vi voglio parlare oggi.

Spesso l’estate porta con sè un tiepido venticello nostalgico, si insinua senza bussare verso le 3 di pomeriggio, quando la città è immobile; ripensi ai sedici anni, le giornate d’agosto in cui l’unica cosa da fare era aspettare che un altro anno cominciasse con l’arrivo di settembre.

Quando avevo sedici anni andavo sullo skateboard, ascoltavo il punk, quello un po’ triste, ed ogni volta mi stupivo di come quella musica riuscisse a descrivere le torride giornate dove tutto rimaneva immobile.

Se Oggi mi chiedeste chi sono i Prawn, forse qualcosa in più riuscirei a dirvelo, ma la cosa importante è che ho ritrovato esattamente quel punk-triste che ascoltavo a sedici anni, quando ancora non snobbavo una panchina arrugginita come compagna di un pomeriggio.

I Prawn, quattro ragazzoni provenienti da Ridgewood, cittadina dell’agreste stato del New Jersey; questo Ships arriva a distanza di un anno da  “You Can Just Leave It All” (primo vero full lenght della band americana, preceduto da 2Extendedpay ed una tour-demo); a cavallo tra un EP ed un album vero e proprio, quest’ultima fatica della band americana con le sue 6 tracce è Puro Cuore: la carica emotiva sprigionata è devastante,  Tony Clark e la sua trasognante voce per quasi trenta minuti ci portano lontano; persi nel ricordo di un’estate di tanto tempo fa, scorrono veloci incontri, amori, sagome di persone senza volto; riaffiorano solo le sensazioni, il come ed il dove non hanno più importanza.Piacevoli nostalgie in cui perdersi.

Ci sono tracce come “Costa Rica” in cui il più classico punk/emo si arricchisce di fiati e di ritmiche orchestrali, un incastro di suoni da far rizzare le orecchie anche ai simpatizzanti del rock matematico;  “Grass and Bones” non ha mezze misure, pop/punk adolescenziale, ingenuamente emotivo, cori impastati, stacchi riflessivi quanto basta, per poi ripartire veloci. Infine canzoni come “Spring River” e “Two Ships” ti sbattono in faccia la realtà: qui parlare di etichette ha veramente poco senso; si passa veloci da cori in falsetto nella migliore tradizione indie a giri punk/folk che a Bonnie Inverno piacerebbero molto, per arrivare a stacchi di chitarra al limite del post/rock e Vibrati che farebbero impallidire Russel con i suoi Bloc party,  e tutta la cricca di Tokyo Police Club e soci.

Questo Ships ha saputo rievocare in me sensazioni e ricordi che ormai credevo perduti; un lavoro poliedrico che non si lascia etichettare, combinando con invidiabile maestria le più svariate influenze.

Un album di Cuore. Ascoltatelo.