Una ventina di anni fa partecipai come pubblico – insieme alla squadretta di calcio in cui giocavo allora – a una trasmissione su Antennatre, una rete televisiva che non puoi non conoscere se vivi in Lombardia. Era una di quelle trasmissioni sportive ancora oggi in voga nelle televisioni locali; quelle dove gli opinionisti impiegano la maggior parte del tempo a urlarsi addosso e insultarsi, invece di parlare di calcio. Ricordo che tra gli ospiti c’era anche Maurizio Mosca. In quegli anni non esistevano cose come Netflix, lo streaming e il binge-watching: il tubo catodico faceva ancora parte delle abitudini quotidiane di tutti.

Ecco, non so se Carlo Corbellini – il leader dei Post Nebbia – abbia mai avuto la fortuna di partecipare come pubblico a una trasmissione locale; so per certo però che quell’immaginario, fatto di televisione di bassa qualità, televendite e dal forte profumo di provincia, ha ipnotizzato un ragazzo poco più che ventenne a tal punto da portarlo a dedicargli un intero album.

Canale Paesaggi, il secondo lavoro della band padovana, è infatti un album che parla di televisione – il mezzo di comunicazione più lontano dalla loro generazione, la Generazione Z. In neanche mezz’ora, i Post Nebbia fotografano il rapporto che intercorre tra spettatore e mezzo televisivo: nei loro brani non scorgiamo tanto una vena critica, quanto piuttosto un fascino disincantato nei confronti di un mondo ormai decaduto. La scelta di questa tematica particolare fornisce, però, ampi spunti di narrazione: ed è così che, una traccia dopo l’altra, la loro ironica analisi si spinge sempre più in profondità, passando dalle televendite di Alessandro Orlando su Telemarket (Televendite di quadri) allo straniamento di fronte alle pubblicità che provano a venderti macchine e profumi (Luminosità alta), fino al senso di alienazione dalla realtà provocato dall’utilizzo di schermi 24/7 (La mia bolla, Persone di vetro).

Se questa narrazione funziona, però, il merito è soprattutto della ricchezza di suoni presente in Canale Paesaggi. Fin da un primo, rapido, ascolto è chiaro quali siano state le fonti d’ispirazione per il gruppo. I bassi e la batteria pompati al massimo in brani come Vietnam richiamano immediatamente i Tame Impala, le chitarre jangle e il tocco psichedelico ricordano Mac DeMarco; il cantato spesso in secondo piano di Carlo Corbellini rievoca infine il Giorgio Poi di Fa Niente, per rimanere in Italia. Nonostante le etichette, i Post Nebbia dimostrano di essere in grado di assorbire gli insegnamenti degli altri rielaborandoli con uno stile personale e ben riconoscibile.
Ogni brano è ricco di tanti piccoli dettagli, a dimostrazione dell’egregio lavoro svolto in fase di produzione: basti vedere la quantità di campioni vocali disseminati in tutto il disco, la maggior parte presi da spezzoni di trasmissioni locali (come, ad esempio, l’inquietante sample in coda a La mia bolla che sembra provenire direttamente dalla Loggia Nera di Twin Peaks).

Nel complesso, Canale Paesaggi suona addirittura meglio di una televendita di Alessandro Orlando. Un album mai banale, ricco di spunti di riflessione e con una gran vastità di suoni e influenze. Non è cosa da poco, soprattutto per un gruppo di ragazzi che ha appena compiuto vent’anni. Bravi Post Nebbia.

Tracce consigliate: Televendite di quadri, La mia bolla, Vietnam