Nelle orecchie ho ancora “To The Lo-o-ocal” del nuovo pezzo dei Blur, così per rimanere in tema brit-pop e di tutto ciò che ne è seguito decido di ascoltarmi il nuovo album dei Peace. La band torna dopo due anni da In Love che, nonostante non fosse un capolavoro, si faceva ascoltare e piacere con il suo crogiolo di ’90s pop-rock made in UK.

Siamo a febbraio ma il ritornello della opening-track ci porta indietro a Natale, cosí sin dalle prime note ci troviamo a riaffrontare il freddo che stavamo provando a lasciarci alle spalle. Lo stesso freddo che si trova nella maggior parte dei brani che, oltre a ritornelli catchy/paraculo, risultano piatti, pieni di già sentito e senza coraggio.
Qualche anno fa c’erano quelle merde dei Brother (poi Viva Brother) che provavano ad emulare i primi Blur e gli Oasis riuscendo solo a ricevere botte da orbi sia dalla critica che dal pubblico. Ora, mi duole dirlo, ma ci sono i Peace: Someday è la copia di Cast No Shadow degli Oasis, cosí come la ballata di Under the Moon ricorda The Bakery degli Arctic Monkeys e via dicendo tra sonorità che spaziano dagli Shed Seven ai Nirvana fino ai Kasabian, senza dimenticare gli Stone RosesWorld Pleasure e Lost On Me ci lasciano un lume di speranza per un futuro terzo album con il loro pop-funk del nuovo decennio (lo stesso dei Jungle, per intenderci).

C’è poco di salvabile in questo disco, se non appunto una manciata di ritornelli che comunque rimangono in testa per qualche mezz’ora. Ma i ritornelli catchy e di facile comprensione li ha fatti pure Dj Bobo con Chihuahua e i Los Del Rio con Macarena… if you know what I mean. Blur, tornate veloci a salvare il brit-pop.

Traccia consigliata: Under the Moon.