PAUL BANKS
BANKS – Matador

È di fine settembre la notizia del rilascio da parte degli Interpol di una 10th anniversary edition del loro debut Turn On The Bright Lights, album che dieci anni fa, appunto, li ha portati sulla cresta dell’onda e negli iPod di tanti giovani nostalgici di Joy Division, Bauhaus ed affini.

Nel mezzo di questa campagna di marketing si insinua l’uscita del primo disco targato Paul Banks, il frontman della band, che non rappresenta però il suo primo lavoro in solitaria: già aveva rilasciato un album nel 2009 e un EP il giugno scorso sotto lo pseudonimo di Julian Plenti (Julian è il suo secondo nome) ma, per citarlo: “Julian Plenti era qualcosa che dovevo fare, ma una volta fatta non ho sentito il bisogno di continuarla.”.
Questo cambio di nome vuole forse essere una mossa volta a sottolineare sia l’individualità del nuovo progetto, sia la personalità del disco che, manco a dirlo, si intitola Banks, (qui potete ascoltare lo streaming integrale dell’album).

L’inizio è senza dubbio positivo: l’opener The Base – uscita a metà agosto – ha un buon piglio e si ascolta bene, così come la seconda Over My Shoulders che si lega all’atmosfera creata dai primi 4 minuti. Poi arrivano Arise, Awake e Young Again che fanno cadere le aspettative, e le palle: arpeggi noiosi, batteria campionata (male), voci a caso qua e là, inutili intermezzi di chitarra acustica; un’accozzaglia di robe brutte che (non) si amalgamano come l’acqua e l’olio.
Lisbon è una strumentale che funziona bene, seguita da una traccia piuttosto gradevole, I’ll Sue You, la quale presenta accenni di pianoforte e archi che male non fanno, almeno qui; tutto viene infatti esasperato in Paid For That, il cui ritornello presenta un’orchestralità più tipicamente Muse, più tipicamente merdosa.
Segue Another Chance, la più sperimentale dell’album: campionamenti di voce, archi, arpeggi acustici, pianoforte e batteria sono tutti coniugati in una sorta di botta e risposta avvincente che assume tinte scure nel finale.
È inutile però nascondersi dietro a un dito, e forse il caro Paul lo sa; piazza infatti alla fine del disco No Mistakes e Summertime Is Coming (già ascoltata nell’EP di giugno), le due tracce che meno si allontanano dal suo stile originario, pur sempre svuotate della tipica chitarra Interpol e infarcite di synth, atmosfere e tutti quegli elementi che caratterizzano questo LP.

Banks è un album che, pur contenendo qualche pezzo interessante, risulta frammentato nell’ascolto e poco connesso, come se Paul avesse cercato di infilare in un solo lavoro tutto ciò che con gli altri componenti della band non poteva fare.
Di sicuro di cose da dire il cantante ne ha ancora, e la voce non gli manca; speriamo solo le dica meglio ed insieme agli altri Interpol.