Coperto da un sottile telo bianco, Pantha Du Prince, al secolo Hendrik Weber, ha sempre propagato un’energia soprasensibile; una luce, seppur trattenuta dalla fibra di cotone bianco, abbagliante e seducente. Il misticismo che l’avvolge da un lato ha alimentato la silenziosa e religiosa seduzione provata, dall’altro ha accresciuto l’eccitante desiderio di spogliare dei veli, in preda all’ebollizione, questa realtà misteriosa. Perché Hendrik Weber da sempre rappresenta una personalità trascendente o che prende vita nel sonno – come il suo pseudonimo, Pantha Du Prince, che proprio a detta sua, gli è stato suggerito in sogno, mentre dormiva, o come anche l’involucro creato per mezzo delle sua musica, tanto soporifero quanto coinvolgente.

Con fare eremitico, Weber ha cercato luoghi remoti e incontaminati da abitare sul planisfero della musica elettronica, ritagliandosi così spazi sempre più personali. Più vicino alla concettuale e algoritmica musica digitale che al mondo fatto di carne, di pulsioni e spirito sensibile, Pantha Du Prince ha abbandonato la totalità della sua persona all’insensibile abbraccio delle macchine: Black Noise e poi Elements Of Light, infatti, non fanno altro che solleticare l’ego già tronfio e tutto centrato di queste, che della produzione perfetta e accademica ne fanno il loro vanto. I suoni naturali campionati, l’eco metallico delle campane, la melodia infantile e allo stesso tempo tetra del carillon sono uniti impeccabilmente ma in un pesante corpo strumentale; si arrampicano insieme lungo la capillare edera del sentimento, ma mai arrivano al cuore in modo diretto e semplice.

The Triad, allora, nasce con il chiaro obiettivo di supplire alla mancanza del tocco umano. E al fine di colmare questo divario si serve di uno dei mezzi propriamente umani: la voce, quale canale comunicativo. Il corpo strumentale è comunque articolato, ma, tagliato con suoni più vivaci, traccia i confini di ritmiche più brillanti e però pallide per via della voce ancora piatta (The Winter Hymn). In un progressivo crescendo, Weber rompe gli indugi già con You What?Euphoria!, dove le linee di basso si sommano all’intensa pioggia di suoni glitch, e poi con Frau Im Mond, Sterne Laufen, una traccia più microhouse che da camera. Alla stregua di quest’ultima traccia, il nocciolo di The Triad suona come Pantha Du Prince incurvato su se stesso: cupo e riflessivo, sebbene potente, unisce garage, suoni geometrici e voce electro (Chasing Vapour Trails, Dream Yourself Awake). Perché il prodotto dell’intero lavoro possa assumere i tratti di una conversazione, di un confronto, invece che di un monologo, The Triad conta la presenza di numerosi musicisti; perché l’album si mostri come un corpo unico, seppur sia il risultato di più membra con funzioni diverse. Ecco allora spiegate le insolite, forse contraddittorie, corde molli del cantato pop su melodie aperte e briose (In An Open Space, Islands In The Sky), ma anche la vaporosa voce in Wallflower For Pale Saints accordata alla malinconica e nuda frase della chitarra.

The Triad pone l’ascoltatore a tu per tu con Pantha Du Prince. È ora possibile osservarlo, scrutarne il profilo migliore, rammaricarsi con lui per i suoi limiti tanto umani che sembrano appartenerci. È come sradicato dall’iperuranio, dai quei luoghi lontani più vicini a sé che al mondo. Pare spogliarsi del sottile telo bianco, della misteriosità che alimentava la seduzione, per sancire l’epilogo di Pantha Du Prince e presentarsi come Hendrik Weber, quindi prima di tutto come un uomo.

Tracce consigliate: Frau Im Mond, Sterne Laufen, Dream Yourself Awake.