OMAKE prende vita nei primi mesi del 2014″, recitano le note della casa discografica in allegato al cd. Un anno dopo esatto siamo qui già a recensire il primo album del progetto di Francesco Caprai: con un passato nel punk, è partito con l’idea di un album di chitarra acustica ma, complice qualche saggio consiglio dalla produzione, è finito a stendere basi elettroniche ai confini con l’hip hop e ricamarvi sopra con lo scalpello, ruvido sì ma non grezzo.
Le colonne del titolo sono nientemeno che le colonne portanti del disco e, di riflesso, della personalità e dell’approccio all’arte del suo autore: la prima come analisi
di se stesso, la seconda come analisi del rapporto con gli altri e infine i rapporti con i meccanismi che regolano il mondo esterno.

Prima nota impossibile da tralasciare e caratteristica saliente della musica di OMAKE: la voce. In una vecchia recensione di un artista che gli è vagamente affine, Lo-Fang, mi ero lamentato di una staticità suicida che affliggeva quel disco e a valanga anche buona parte dell’infame scena nu-soul. Il nostro in un certo senso ne fa parte e in un certo senso no, basta ascoltarlo per rendersi conto che non rimane per fortuna imbrigliato negli stilemi (ormai noiosissimi del genere) ma in verità questo punto non sarebbe nemmeno così rilevante. Ciò che è rilevante per davvero è la placida ma sempre sottilmente tesa armonia interna che anima i solchi neri di questo album d’esordio. COLUMNS scivola con calma, senza alcuna fretta ma non per questo senza lasciare il segno: può perfino capitare di ritrovarsi a canticchiare “Make me feel like I’m man” da Woman o a tenere il tempo su Nighthawk. Non è poco, considerato che non ci sono particolari pretese pop nè un’apertura all’accessibilità eccessiva. Sì, è un album che può ascoltare chiunque ma COLUMNS non sembra offrirsi indistintamente a tutti quanto piuttosto essere alla ricerca dell’orecchio giusto.
Carattere centrale e peculiare del disco è la voce profondissima che si qualifica e promuove da sola su registri da basso. Ed è questo timbro particolare lo strumento col quale vengono espresse tutte le insicurezze e le inquietudini dei testi e che offre al disco davvero una marcia in più in quanto a emotività.

C’è forse qualche asperità nel cantato, qualche passaggio che potrebbe essere reso più armonioso e morbido (l’aria di chitarra Darkside : The Fighter sembra fare il suo ingresso e la sua uscita un po’ troppo improvvisamente): e nonostante qualche peccato veniale l’ascolto, con le orecchie ben tese sì ma anche con cuore e cervello, di questi quaranta minuti di musica italiana dal respiro assolutamente internazionale rende ben chiara anche agli scettici l’alta qualità media del progetto che ha dato vita a COLUMNS. C’è di fondo una indubbia ricerca in se stessi che si esprime poi in ricerca nella e con la musica. Non resta che felicitarsi per un’opera prima tanto ben riuscita e augurare buona fortuna a OMAKE; perché questo, alla fine, è solo il primo passo. Le colonne (d’Ercole) vanno superate.

Tracce consigliate: Deer : The Hunter, Korsakoff.