In principio fu My Love Song: rimangono ancora parecchi dubbi su cosa sia e cosa rappresenti esattamente l’iconografia della “Madonna crocifissa” ma rimane anche il fatto che la traccia in questione era una delle poche qualitativamente sopra la media in un album troppo spesso fiacco e noioso: l’album è ovviamente Monster, ultimo (ora penultimo) lavoro di Noyz Narcos; la succitata traccia vede alla produzione un inedito Fritz da Cat. Prima collaborazione fra i due e un deciso centro. Neanche sei mesi dopo arriva Fritz, album realizzato con la stessa ricetta dello storico 950 ma con risultati oserei dire leggermente diversi, imputabili perlopiù a una schiera di artisti imbarazzanti. Fra Gemitaiz, LowLow, Rocco Hunt, Danti… c’era poco da stare allegri. Qualche vecchio astro ancora a dare buone prove, qualcun’altro invece passa solo la misura di quanto è liricamente bollito. E poi c’è With or Without It: supportato dai Calibro 35, il featuring di Noyz spicca come uno dei più riusciti dell’album, non particolarmente profondo nè troppo originale ma di grande effetto complessivo.
Dato il quadro generale, arriviamo a questo Localz Only.

Intro: “Quando schiaccio il tasto record vedo tutto rosso, quando dico faccio un blunt lo faccio bello grosso“. Ma bene, bell’inizio, proprio. Bell’inizio di merda. È solo un’introduzione ma saltare a piè pari è un imperativo.
The Chef è un esperimento di rap a tema culinario (riferimenti al cibo ricorrono in continuazione) su base vagamente reggae. Per restare in Italia mi ricordo di Shezan il Ragio che aveva fatto, qualche anno fa, una traccia dall’idea simile ma con una finezza d’altro livello. Comunque dopo la doccia gelata di Intro, The Chef è già un discreto punto di ri-partenza. Non si sente davvero nulla di stupefacente ma ci si inizia a scaldare.
Poi la titletrack: tralascio il video (bello, piacevole e coinvolgente ma davvero poco originale; posso capire il tributo a Machete ma qui è quasi una mera riproposizione) e passo direttamente alla traccia. Il sample, tanto per cominciare, è straordinario; trattasi di How Can You Win dei Parish Hall, semisconosciuto gruppo southern rock dalle fortissime venature blues elettriche, a metà tra Jimi Hendrix e i Lynyrd Skynyrd. La base, di riflesso, è perfetta; sull’altro 50% della canzone, le rime chiaramente, c’è da discutere. Se comunque il flow c’è e il divertimento anche, il contenuto effettivo delle rime rasenta lo zero: tematiche trattate sono l’erba, la vodka, la sambuca, facciamo i soldi, le tipe vanno matte per noi, fatalismo a gogo. Spunta anche qualche verso semi-riciclato: “col sogno de piamme tutti quanti i soldi del globo” è il quarto fratellino della famiglia che già vedeva in M3Sogno tutti i soldi delle star, le loro fiche!“, in Parla chiaroper tutte le persone stanche tutti i soldi delle banche” e in Zona d’ombra “Mamma Roma piange sangue, il piatto langue, datece tutti i soldi delle banche!”. Va bene una certa coerenza nella propria poetica e ora io non vorrei veramente stare a sezionare canzone per canzone per queste cose, ma sono usi davvero troppo ripetitivi che non possono non rimbombare in un orecchio critico. Poi va detto comunque che l’immaginario del Noyz resta sempre uno dei migliori e allora “Hardcore come Bob Malone, G come Gabriella Ferri“. Promosso con qualche riserva non da nulla.
Secondo singolo è “El Padre”
: sorpresa sorpresa, è tornato Verano Zombie? No ma quasi. Il beat è cupissimo, più scarno rispetto al precedente e più secco. Meglio anche il testo, il gioco di incastri scava un po’ più in profondità, rievoca momenti artisticamente migliori; viene decisamente meno la cazzoneria ostentata in Localz Only e affiora il lato più oscuro delle rime del Noyz.
Primo featuring dell’album, arriva Dal tramonto all’alba con Salmo, rovescio della medaglia già sentita in Rob Zombie. Gran bei campionamenti, grande beat, ottima atmosfera notturna (si ascolti l’originale Can’t Stand It No More). A fronte della prova ottima di Fritz fa da (mezzo) contraltare la coppia di rapper che convince solo per metà; fra i due molto meglio il padrone di casa che sforna buone rime con un flow scazzato e infastidito come poche altre volte, grandi citazioni (“Brilla a mezzanotte la mia sveglia come Miriam). L’altro featuring dell’album, nonostante veda la presenza di Ensi e Jack the Smoker, francamente è un brano del quale avrei fatto un po’ a meno (canne canne canne canne canne canne, basta dai). Bella bomba invece con Black Box, rabbiosa e feroce: arriva, in poco più di due minuti fa razzia e se ne va come è arrivata. E fin qui, sinceramente, il disco regge decentemente. C’è un interludio e poi due brutte cadute di stile: Talent Show, sorta di Black Box più stupida e bieca (non si salva nell’autocitazione di Karashò) e Monumenti.
Uno sguardo attento al trio finale: l’impressione dai titoli non è veramente delle migliori. Si leggono The World Ain’t Ready For Me, Polvere di stelle, Money & Egos, ma sembrano leggersi Autocelebrazione, Autocelebrazione, Autocelebrazione. La prima è uno sguardo indietro e uno sguardo avanti, una riflessione sulla propria carriera d’artista ma dall’ascolto arriva poco da segnalare di interessante. Bello e importante invece il beat con armonica country. Polvere di stelle è la figlia illegittima di My Love Song, stesse tematiche, stessa attitudine verso l’amore visto da una prospettiva bella rude. Ed è anche la traccia più brutta dell’intero album. Base sconnessa, flow spezzato e chiuso su se stesso, rime letteralmente demenziali, ascoltare per credere. “Sgusciate sta capasanta che c’hai dentro al tanga” poi un’immagine talmente orrenda che la segnalo giusto per darvi un’idea.
E per finire Money & Egos, che si rivela essere niente più che una traccia outro, nella quale almeno ci vengono risparmiate rime scrause come quelle dell’intro.

Valutazione complessiva: Fritz si conferma assolutamente come un produttore fuori dal comune. Il tema generale western-southerner grezzo e cupo è stato esaltato alla grandissima da una serie di lavori eccellenti che suonerebbero bene anche solo come strumentali. Un paio di scivoloni forse, ma è fisiologico e non risaltano veramente all’interno di quello che, musicalmente, è un buonissimo lavoro.
Dall’altro lato Noyz dimostra, un po’ amaramente, di essere davvero a corto di idee. Continua a stracciare gran parte della scena rap italiana, per non parlare di quella “mainstream” e per non parlare di tanti giovincelli ma sembra gli rimanga poco di interessante da scrivere. Ogni tanto riesce a superare l’idea che ne abbiamo e disegna sanguinose raffiche di incastri di buon livello, ogni tanto (troppo spesso) rimane la copia di se stesso, già sentito in mille altri brani, con le stesse identiche frasi, gli stessi riferimenti, meno cattiveria, più ego. Può continuare a ripetere, e lo fa parecchio, che degli hater non gliene frega un cazzo ma ormai, a comporre le sue platee, sono sempre di più ragazzini quasi bambini che, se avessi un paio di anni in più, potrebbero davvero essere miei figli preadolescenti e fogatissimi per il King.
Il voto così è un incontro tra le due direttrici dell’album; Localz Only è un album discreto, non il capolavoro che si poteva sperare (poveri illusi) ma nemmeno un crollo su tutta la linea o, peggio ancora, una svendita totale al commerciale.

Traccia consigliata: Black Box