Ci vuole poco, pochissimo, un semplice sguardo alla copertina, per capire che Hyperocean rappresenta per i Niagara una svolta decisa, un gran passo avanti rispetto al percorso passato. Bando alle tinte rosa con cui si presentavano i precedenti lavori (Otto e Don’t Take It Personally): è il nero qui a farla da padrone; le varianti cromatiche possono solo accontentarsi di un rapido insediamento nelle onde – marine o sonore, fate voi – che sferzano l’oscuro sfondo.
Hyperocean nasce e vive in un liquido amniotico al contempo rassicurante e destabilizzante, sereno e inquieto. Nel composto nero e viscoso si amalgamano trame pop presto spezzate da suoni acidi, voci robotiche che si intersecano a percussioni claudicanti, synth analogici adagiati su field recording acquatici (registrati mediante idrofoni). L’oceano, lo stato fluido, il divenire, sono punto di partenza di un concept album ma anche linfa vitale che scorre nelle colonne portanti di un lavoro convincente e coeso, pur nelle sue virate più inattese.
Mizu è una sirena robotica che ci prende per i piedi mentre siamo in mare e ci porta giù, negli abissi più profondi in cui le forme d’onda si fanno irregolari, soffocano; e mentre ci accorgiamo della discesa iniziamo a dimenarci sui ritmi serrati della titletrack e dell’incredibile Roger Water, due pezzi quasi (ho detto “quasi”) da ballare, pur nelle loro squilibrate e irregolari raffiche sonore. Una volta sul fondo è però tutto più chiaro: non stiamo annegando, stiamo respirando: sono i sospiri di Blackpool a confessarcelo mentre una cassa martellante ci lascia un po’ straniti. E se Fogdrops e Drift ci cullano con delle trame musicali più canoniche e più vicine alla forma canzone – più movimentate la prima, ricche di dissonanze la seconda – ci pensa Solar Valley a disattendere le aspettative iniziali con una tempesta improvvisa di voci androide e synth tanto dolorosi quanto liberatori. E quando le lancette degli orologi subacquei cercano di andare indietro di qualche anno, ci pensano gli abitanti primitivi di questa rediviva Antartide a spezzettare e ricomporre gli elementi per creare qualcosa di nuovo (la fantastica Escher Surfers e Twin Horizon). Alfa 11 è la fine del tour, la placida risalita ambient, il ricordo del sogno: non ci è permesso vivere in questo assurdo mondo parallelo; alla fine, siamo pur sempre umani (noi).
Hyperocean è un’immersione consapevole verso l’ignoto oscuro e imprevedibile, un’esperienza di sicuro non semplice da gestire all’inizio, ma che con gli ascolti diventa sempre più intensa tanto musicalmente quanto fisicamente; un progetto ambizioso che nasce da basi solide e al contempo rischiose, ma che convince grazie alla perizia e alla maestria di concretizzazione.
Hyperocean è un racconto fatto di suoni e atmosfere che sondano il conflitto uomo-natura riportandolo al livello di inscindibilità, al binomio originario creatore/creato. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Io non lo so, i Niagara sembrano averci capito qualcosa in più. Forse.
Tracce consigliate: Fogdrops, Escher Surfers