Con la seconda parte di græ, pubblicata a 3 mesi di distanza da Part 1, Moses Sumney porta a conclusione un’opera ricca di coraggio e di ambizione in cui riesce a fondere gli opposti, lasciando spazio a sufficienza affinché trovino espressione tanto l’eccesso quanto il minimalismo. Paradossalmente, visto il livello dei brani di Part 1, questa seconda metà potrebbe apparire superflua: c’è forse qualcosa in più che possa essere dimostrato rispetto a quanto già messo in mostra in modo così coeso, intenso e maturo?

Chiariamolo subito: la seconda parte di græ è nettamente meno ricca della prima, sia nella produzione, sia nei temi affrontati. Coralmente, nel suo approccio essenziale, si avvicina più ad Aromanticism che a Part 1, ma, più che una debolezza, il tono sommesso appare una scelta consapevole. Moses, dopo aver rivolto il proprio sguardo verso l’esterno, esplorando il suo rapporto con la società nel tentativo di veder riconosciuta la propria identità, offre una prospettiva diversa, guardando verso l’interno. Il fatto che il pronome “me” venga utilizzato in metà dei titoli dei brani non è una coincidenza. In modo sobrio, riflessivo, si allontana dallo stile iperbolico e sfaccettato della prima parte, per esaminare i propri sentimenti con un approccio più tetro e vulnerabile, ma con maturità e con una consapevolezza priva di autocommiserazione. Se in Part 1 il grigio rappresentava le infinite sfumature della personalità dell’artista nel suo rapporto con gli altri, in Part 2 rappresenta la sua condizione attuale, la trasposizione cromatica di quel luogo non luogo compreso tra il se stesso del passato, del presente e del futuro.

La divisione di græ in due parti non vuole creare una separazione e non suggerisce che i due dischi siano elementi distinti, a se stanti; è, piuttosto, la rappresentazione fisica della molteplicità: sono le due metà della stessa entità ed è proprio nella concezione di græ come un’unica opera che la semplicità di Part 2 trova ragion d’essere. Parlando di Part 1, individuai in Polly la traccia che più si avvicina al bianco, al minimalismo di Aromanticism; ne consegue che sia anche ciò che più si allontana dal nero di Virile e dalla stravaganza che si incontra frequentemente nella prima parte. Ascoltando græ ininterrottamente, Polly, con il suo ritmo pacato, con la sua moderazione, è il perfetto elemento di raccordo con la seconda parte che, non a caso, è stata incisa su un disco bianco.

I fiati e gli archi di Two Dogs aprono Part 2 dando continuità all’atmosfera serena con cui si era concluso Part 1, ma la parte strumentale, per contrasto, rende ancor più duro il tema esplorato nel brano. Moses Sumney presenta un dialogo tra passato e presente, in cui narra la morte di due cani posseduti durante l’infanzia; ne deriva una riflessione sul futuro e sulla morte stessa che, anziché separarci, ci accomuna. Presente e futuro vengono trattati anche in Keeps Me Alive, in cui il falsetto, accompagnato unicamente da una chitarra, descrive intimamente una condizione in cui è la sola infantile curiosità nei confronti del proprio destino a fornire un motivo per continuare a vivere. L’assenza dell’intensità che ha caratterizzato la prima parte non toglie valore a Part 2; si tratta di un nuovo sviluppo di un suono che risulta familiare e ne consegue che, uno scostamento rispetto a questa “normalità”, venga percepito come ancor più rivoluzionario: ciò che forse sarebbe stato accolto con meno sorpresa in Part 1, ora rappresenta un momento di spicco all’interno della seconda parte. Ne sono l’esempio tracce come Me in 20 Years, Lucky Me e Bless Me.

In Me in 20 Years il futuro viene nuovamente tirato in ballo, stavolta in modo struggente, all’interno di una riflessione che vede Moses considerare la possibilità di ritrovarsi ancora solo a distanza di 20 anni da oggi. Me in 20 Years è la traccia che meglio veicola il bagaglio emotivo del disco ed è indubbiamente una delle produzioni più ambiziose e riuscite del disco; si può percepire con chiarezza il contributo di Matthew Otto (Magical Cloudz) e di Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never). La produzione è densa, simile ad una massiccia parete sonora di fronte alla quale si ha una sensazione di impotenza: il beat trap, scandito dal sibilo dei piatti, il ritmo lento marcato dalla cassa, il synth leggero come il suono di un’arpa che puoi quasi veder luccicare, lasciano giusto lo spazio necessario affinché la voce di Moses Sumney risulti ancora più impressionante e abile nel comunicare il sentimento di inevitabile solitudine.

Il presente viene analizzato in Lucky me, in cui, con finto ottimismo, Moses elenca vari motivi per cui dovrebbe sentirsi grato e fortunato. Il brano, scritto assieme a James Blake, che ritroviamo alla tastiera e alla drum machine, gli unici strumenti assieme al violino di Rob Moose, è l’elaborazione di un abbandono che suona come un autoconvincimento non troppo convinto.

Bless Me/before you go, è un commiato agrodolce, l’epilogo di una storia che non ti appartiene, ma che riesci in qualche modo a percepire come tua. Apre come una comune ballata R&B, per poi esplodere in un gospel liberatorio e infine svanire nell’outro, in cui vengono pronunciate le parole “All creation stories begin with separation”, che sintetizzano perfettamente la storia di un album creato proprio attraverso la separazione. Il basso ricco di riverbero e il coro angelico di before you go generano un senso di pace con se stessi e con il mondo, rappresentando un esplicito invito a lasciar andare il passato:

You will never see that person again / now, go.

græ: Part Two, smorza l’ampollosità della prima parte dell’opera, bilanciandone i tratti più complessi, aggressivi, non convenzionali. L’esperienza più elegante, essenziale, introspettiva, porta in maniera organica verso un epilogo che si può equiparare ad un lieto fine: nonostante attraversi delle fasi in cui risulta doloroso come un colpo allo stomaco, è un viaggio nel proprio io, fra traumi, timori e speranze, che rappresenta una condizione necessaria per potersi liberare di un passato che ci impedisce di andare avanti.