Tanto tanto tempo fa (gli anni 90), in una terra lontana lontana, che definiremo molto genericamente come Nord Europa, tante band indie/alternative importantissime e bellissime vedevano la luce e i primi successi. Purtroppo, il malvagio sovrano chiamato Sfiga Nera impediva loro di ricevere il giusto riconoscimento e la fama dovuta.
Questa ad esempio è la tragica storia dei Mew. Arrivati al loro picco assoluto con Frengers, anno di grazia 2003, non sono mai riusciti, nonostante una stampa favorevole per non dire adorante, a sfondare veramente. Non dico che siano un gruppo sconosciuto, ma maldestramente ignorato da troppi sì.+ – è il ritorno discografico dopo ben sei anni di assenza ed è anche il ritorno del figliol prodigo Johan Wolhert al basso. Corredato da una copertina brutta come poche altre volte nella intera storia del rock, conta dieci tracce presentate come “each very different from each other, but somehow it works. Some of it is a bit rockier than the last one, but there are also songs that go even further towards a more produced sound“.

Direi che l’opener e singolo Satellites ricade in questa seconda categoria: il video con la band che suona su sfondo nero con luci al neon è decisamente datato ma poco importa davvero. La traccia è un buon apripista, abbastanza indicativo del nuovo corso della band. Rock sì e ancora magniloquente e quasi sinfonico come in passato ma molto elettronico e molto pop, leggensi anche paraculo. Sulla voce e i falsetti del frontman Jonas Bjerre vale la pena spendere due parole; artisticamente un fratello minore del ben più celebre Jònsi, continua a sfoggiare performace vocali di ottimo livello, con quelle peculiarità e quel tono che può lasciare stupiti e un po’ infastiditi ai primi ascolti.
La successiva Witness invece mette in un angolo le velleità elettroniche in favore delle schitarrate con le quali si apre, sostenute da una batteria esplosiva; Witness è una cavalcata, breve ma altrettanto intensa, che trova il suo punto di forza in un’alternanza al microfono interna alla band e al featuring di tale Sasha Ryabina come backing vocals.
Collaborazione ricorrente su ben tre brani è quella con Kimbra (esattamente la, ai tempi, sconosciuta partecipante al successo planetario di Gotye); appare in The Night Believer, Interview the Girls e soprattutto nel singolo Water Slides. Azzeccatissimo esempio del versante elettronico ma emozionale dei Mew qui si rallentano di molto le ritmiche, si abbassano le luci, si punta sul sentimentale, le vocal spiccano ancora di più una volta che gli strumenti si mettono leggermente in disparte e lasciano campo libero: bel colpo, un autentico centro. Videoclip decisamente più curato e stavolta piuttosto criptico, è opera di Martin de Thurah, autore di una valanga di video di artisti importantissimi della scena nordica e non. Come dicevo criptico ma di una cosa sono sicuro, anzi due: gli piace il mare di notte (a chi non piace?) e le scene in slow-motion, forse queste ultime gli piacciono un po’ troppo.
Leggermente fuori dal coro e forse anche sottotono rispetto al resto dell’album Making Friends, mezza ballata elettronica che non convince esattamente fino in fondo. Le assomiglia ma la supera Interview the Girls, più compatta, meno dispersiva e con un suono generale più coeso (brava Kimbra in un ruolo molto, molto dietro le quinte ma d’effetto).

+ – è un album intelligente e che non fa rimpiangere nemmeno troppo la lunga mancanza dei Mew dalle scene. Certo, forse certi fasti sono passati e non in molti ricorderanno questo come l’episodio più entusiasmante della carriera della band. Però intanto… la band danese ha ufficializzato un ritorno importantissimo, firmato un nuovo lavoro decisamente sopra la media e ora sono anche in tour. Ma che volete di più?

Tracce consigliate: Water Slides, Interview the Girls