May Nam (già nostro HYPE tempo fa) è italiano, nato nel nebbioso nord e residente nella grigia Germania. E lo psych-pop multicolore di Anacol Jut da dove viene, dunque?
In un primo momento parrebbe nascere da un’esigenza interiore, da un modo di vedere e affrontare la vita tale da azzerare quanto più possibile i contesti in cui quotidianamente siamo immersi. I fattori esterni influenzano l’uomo, è cosa ormai ovvia. Ecco, analizzando la sua musica si ha l’impressione che May Nam indossi costantemente degli occhiali che trasfigurano la realtà nel migliore dei mondi possibili (anche se i suoi lavori sulla tela qualche dubbio a riguardo lo fanno sorgere).

Anacol Jut è un biglietto di sola andata per una foresta verde, viola, gialla e rossa, senza connotazione geografica né mentale. A darci il benvenuto troviamo voci, urla, frasi in italiano, inglese e tedesco. Neanche il tempo di ambientarci e subito partono le percussioni, i pad trasognanti e le voci manipolate di We Shake Sperando (con video allucinato annesso), il tutto condito nella migliore salsa pischedelica di scuola Animal Collective; questa è ovviamente un’influenza forte, ritrovata anche in Puppy Tanz (altro video pazzo), ma credere che tutto si appiattisca o sia facilmente assimilabile in meri citazionismi vi sbagliate di grosso. Anacol Jut trasuda freschezza, ingenuità e una gioia quasi infantile di riscoprire una bellezza quotidiana oggi troppo ignorata. La semplicità frammentaria, aritmica e allo stesso tempo melodica di Frekta Domi è una gioia per le orecchie, così come il lodevole lavoro percussivo della serenissima Get Dudeskeit. Su Arjen The Seal, posta quasi in chiusura, si sente però l’ingombranza di soluzioni ormai digerite a metà ascolto, su tutte l’utilizzo dei vocal spezzettati e ricuciti per dettare l’impalcatura melodica del pezzo. Fortunatamente ci pensa la conclusiva All You Said a ricordarci che May Nam ha una grande personalità, musicale e non, che emerge ancor di più quando le radici di stampo AnCo rimangono relegate al livello del subconscio, lì nella latenza che precede la realizzazione.
Al di là della vena pop che rimane appiccicata al primo ascolto, a colpire sono il trattamento dei suoni e l’ottima produzione (che ancor più risaltano in quanto il disco è autoprodotto), e la frase di apertura di Oy Riki: “È la ricerca di qualcos’altro. Questo qualcos’altro potrebbe essere andare a teatro, in caso in cui il teatro ci fosse.

Soffermandosi alla superficie, alle prime quattro chiacchiere scambiate con May Nam, al primo ascolto, si potrebbe pensare che la musica di Anacol Jut rispecchi perfettamente un personaggio, un giullare sempre allegro che si è dato un ruolo. La vera chiave di lettura del suo mondo, però, non è evitare tutto il negativo, quanto più tramutare qualsiasi stimolo in un input per creare quel migliore dei mondi possibili a cui accennavo in apertura, senza scansare nulla, nella ricerca di una serenità sincera e privata, la quale ha la sua massima espressione nella musica.

Tracce consigliate: Fretka Domi, All You Said