Quando arrivano i titoli di coda di Serpentine Prison, album di esordio da solista di Matt Berninger, sembra ancora di poterlo vedere, lì, in mezzo alla cameretta di Van Gogh, con l’orecchio mozzato e lo sguardo perso nel nulla. Anche se la musica finisce, c’è tutto questo “io” che serpeggia nella camera e che rimane impresso nella testa.
Per Matt Berninger non è un problema, a lui piace stare al centro di tutto, anche quando sta di merda. E gli piace, chiaramente, anche raccontarlo. Esibirlo, quasi. Ecco: Serpentine Prison è l’ennesimo romanzo pieno di riflessioni, scritto con le sole sue due mani.

Non è la prima volta che si allontana dai National: c’era stato il progetto El VY con Brent Knopf che, sebbene non indimenticabile, ha avuto il pregio di superare quell’empasse in cui spesso ci si ritrova quando si vogliono fare le cose da soli. Cioè, delle deviazioni artistiche che di fatto sono solo esperimenti senza palle di natura derivativa. Erano gli anni di poco successivi alla scalata verso l’Olimpo della band (per intenderci, mi riferisco a cose tipo Trouble Will Find Me), ma invece di fare dei b-side era uscito questo lavoro mega indie pop che aveva comunque un’identità.
Forse se lo poteva permettere perché, all’epoca, era già considerato un mezzo mito.

E così arriviamo al 2020 e a Serpentine Prison, che esce casualmente dopo che sull’Olimpo i National non solo ci sono arrivati, ma ci hanno anche messo radici (per intenderci, mi riferisco a cose tipo Sleep Well Beast o I Am Easy to Find) e anche in questo caso – anzi forse ancora di più – lui (Matt) può permettersi di fare un po’ come gli pare.

Ma il romanzo del 2020 racconta, alla pagina n. 1, che uscire dall’empasse è un vero casino.

E lo si capisce quasi subito con My Eyes Are T-Shirts e Distant Axis che non sono altro che prototipi di canzoni fighe dei National, ma senza i National. Se infatti proviamo a volare di fantasia e aggiungiamo alla prima la profondità di Gospel ed alla seconda le chitarre di Day I Die, beh, oggi avremmo le convulsioni e domani racconteremmo che ai nostri tempi non tutto era così brutto.

Certo, i testi dell’album – che ne rappresentano senza dubbio la parte migliore – dimostrano che Matt sia uno dei più efficaci e profondi parolieri di questo ultimo ventennio; con o senza la sua band. Ad esempio, è magico il processo che porta dalla depressione alla costruzione di Oh Dearie, veicolato dal suo baritono che si fa ancora più cupo e tetro, come se davvero ci fosse una corda legata al collo.

I am near the bottom
Name the blues, I got ‘em
I don’t see no brightness
I’m kind of starting to like this

E lo stesso vale anche One More Second in cui il cuore si spezza in due anche se le parole usate sono più semplici e dirette. Da un certo punto di vista sembra quel vecchio film – The Way We Were – con Barbara Streisand e Robert Redford in cui i due protagonisti, pieni di paranoie, casini e diatribe politiche, si chiedono (parafrasando): Non potremmo semplicemente amarci? 

Ma questa innata capacità di fare poesia si scontra con una musica e sezioni ritmiche senza troppe pretese.

Eccetto alcuni piccoli lampi, siamo di fronte ad una specie di riedizione di cose simili ad About Today, ma senza i fratelli Dessner. Nell’album, infatti, non troviamo specials o bridges degni di nota, ma al contrario organi, fisarmoniche e scivolate western che stonano con il paesaggio. Vedi Love So Little o in Collar Of Your Shirt, brani che partono bene e finiscono nel nulla. (E da questo punto di vista questa circostanza ci conferma che nel caso della band di Cincinnati tutto ha senso solo quando è fatto in comune).

L’album sale con gli ascolti, non c’è dubbio, e sa trasmettere la sofferenza di chi lo ha scritto, ma non va oltre la bolla che con gli anni il suo autore si è costruito, come se Matt non volesse completamente staccarsi da quella bellissima tetta che lo allatta da anni. Anzi, a tratti ci si chiede che senso abbia fare qualcosa senza la tua band, quando poi in realtà fai una cosa che con la tua band sarebbe uscita simile ma migliore.

Dunque, se è vero che è la somma che fa il totale, nel caso di Serpentine Prison, mancano alcuni addendi all’operazione matematica.

Tracce consigliate: One More Second, Oh Dearie.